Scritto da Eleonora Gitto, 18/04/2008
Articolo uscito sul portale informatico eCostiera.it
La stampa in questi giorni è affollata di dichiarazioni che i politici “trombati” di sinistra rilasciano per motivare la debacle.
Strano come a nessuno venga in mente di fare il “mea culpa”.
E’ sempre colpa di altro o di qualcun altro quando si registrano sconfitte.
Un atteggiamento alquanto arrogante che denota l’assoluta incapacità di fare sana e costruttiva autocritica.
La colpa è del voto utile richiesto da Veltroni. La colpa è dei rifiuti che hanno sepolto l’immagine della sinistra. La colpa è del sole che ha indotto le persone ad andare al mare. La colpa è di Berlusconi. La colpa è della coalizione. La colpa è del simbolo.
Alibi e giustificazioni a cui non crede nessuno, nemmeno chi continua a ripeterle.
La verità è che la sinistra con le elezioni del 2008 è solo scomparsa dalle istituzioni ma era già malata da molto, troppo tempo. Un’agonia lenta ed inesorabile che prima o poi doveva portare ad un triste epilogo.
E se qualcuno contava sul voto “fisiologico” e responsabile che sempre in modo naturale arriva da sinistra, per garantirsi di nuovo la poltrona, questa volta ha fatto male i suoi conti.
Perchè quello che la stampa non dice, quello che nessuno ammette, è che il consenso questa volta alla sinistra è venuto meno non solo dal popolo di sinistra, ma dagli stessi iscritti e militanti dei partiti della sinistra.
Quello che la stampa non dice è che molti militanti hanno provato sicuramente tanta amarezza perché alla guida del Paese è tornato Berlusconi, ma anche un senso di liberazione.
Liberati da una gestione autoreferenziale, arrogante e asservita a quello stesso sistema di cui la sinistra dovrebbe essere, se non la contrapposizione, almeno l’anima critica.
L’articolo apparso il 16 aprile su “Il Manifesto”: “I Berti-boys sull'orlo del baratro…il clan delle playstation” a firma di Sara Menafra, in tal senso è illuminante.
L’articolo parla di una sinistra fatta di giovani rampanti, spesso senza né arte e né parte, che hanno ben recepito il messaggio dei nostri tempi: non fare politica ma usare la politica.
Perché questo è quello che si fa oggi costringendo ad una politica autoreferenziale e asservita.
Una politica che segue e insegue i media. Una politica fatta di meri proclami elettorali, di finte battaglie finalizzate solo ad avere una volta in più il proprio nome sui giornali.
Una politica che predica bene e razzola male.
L’articolo citato non ha sorpreso quanti, soprattutto in Campania, hanno vissuto il lungo processo di svuotamento dell’identità di sinistra, al suo progressivo prostrarsi ai centri reali di decisione e controllo.
Una sinistra “radical chic” e snob capace di scatenare dibattiti accesi solo al suo interno su chi deve “essere” e sempre meno interessata a “cosa fare”.
Lontana dalla volontà di costruire un vero radicamento sociale atto a contrastare le peggiori derive liberiste.
Lontana sempre più dai problemi sociali. Brava nei proclami, negli slogan, nelle parole d’ordine, ma non interessata alla loro realizzazione.
Così in Campania dice no alla privatizzazione dell’acqua, ma quando un deliberato regionale campano prevede la svendita delle quote dell’acquedotto pugliese, non interviene. Si dice contraria ad uno statuto presidenzialista, ma poi in aula lo vota insieme alle “radici cristiane”.
Adesso che è diventato tanto di moda attaccare Bassolino per la questione dei rifiuti, alza la voce e dice insieme agli altri “..a casa”.
Dimenticando che appena fu fatto il contratto capestro con la FIBE, l'ordine di scuderia è stato: “Non si disturba il manovratore”.
No alla guerra “senza se e senza ma!”. Uno slogan che risuona ancora nelle orecchie.
Ma appena girato l’angolo, si votano i finanziamenti e si decide che le truppe rimangono, perché il governo non può cadere su questo…non ancora. Almeno facciamo maturare i tempi giusti per prendere una congrua pensione.
E così, rivoluzionari, ambientalisti e pacifisti decidono che un lauto stipendio può anche far diventare una “guerra giusta”.
Sono mancate le proposte? No, ci sono state tutte. Sulle morti sul lavoro ogni giorno, sulla precarietà crescente, sui contratti, come quello dei metalmeccanici sull'emergenza salari; insomma, c’è stato tutto nel calderone, tutti quei problemi che il governo non solo non può dire di avere minimamente risolti ma neppure avrebbe saputo come affrontare.
Ma sono stati solo temi mediatici.
La sinistra non ha risposte? Questo è il messaggio decisivo, è questa la sentenza?
Ma le risposte le ha cercate? O era meno faticoso e più rilassante dedicarsi alla playstation?
C’è da meravigliarsi della debacle? C’è da meravigliarsi che da questo sfascio della sinistra chi ne ha tratto vantaggio è stata la destra?
A casa Bassolino, certo, ma a casa anche tutti coloro che c’erano, hanno visto ed hanno taciuto, sapevano e non hanno impedito. E si poteva fare.
Ma Bassolino all’epoca era “ò governatore”, il grande vincitore sul cui carro sono saliti tutti e che ha fatto la fortuna di molti.
Ora Bassolino è il ferito a morte: fin troppo facile inveire.
E se è vero che Bertinotti ha proposto che i giovani rampanti non eletti in questa tornata elettorale devono essere considerati “precari dello stato” e che si deve trovare un modo per non farli rimanere in mezzo alla strada, vuol dire che la lezione non è ancora servita.
Non è continuando a curare solo il proprio orticello che, questa sinistra abituata ad usare il partito come “ufficio di collocamento”, potrà riconquistare la credibilità perduta.
Bisognerebbe ricordare, a chi ha a cuore il futuro di questi “neo-disoccupati politici”, che ci sono stati e ci sono, sia nel parlamento che nei consigli regionali di tutto il Paese, collaboratori e portaborse che hanno lavorato e lavorano nei gruppi politici, incluso quelli di sinistra, spesso senza contratto, o con contratti a progetto, che pur facendo questo lavoro anche per molte legislature, sono e restano precari, senza alcun paracadute sociale.
Non si maturano diritti nelle cariche politiche. E non c’è nulla di indecoroso, per chi ha avuto un ruolo politico istituzionale, a trovarsi un lavoro normale.
Certo, forse ci sarà meno tempo per dedicarsi alla playstation, ma ci saranno sempre le domeniche e le vacanze estive.
Per chi è cresciuto, ha lottato, ha improntato la sua vita scegliendo e credendo nei valori della sinistra, l’amarezza è grande perché c’è la consapevolezza piena che un periodo storico è finito.
Da dove si ricomincia adesso?
Ciò che rende questa sconfitta davvero devastante, non è in sé la mancata presenza in parlamento di una rappresentanza di sinistra, fatto di per sé grave e quasi unico, ma soprattutto la constatazione che, questo modus operandi è riuscito a veicolare l’idea di una sinistra inutile, non credibile e “uguale agli altri”, se non peggio.
Questa è la responsabilità più grande, questa è la vera colpa, questo è davvero imperdonabile.
Articolo uscito sul portale informatico eCostiera.it
La stampa in questi giorni è affollata di dichiarazioni che i politici “trombati” di sinistra rilasciano per motivare la debacle.
Strano come a nessuno venga in mente di fare il “mea culpa”.
E’ sempre colpa di altro o di qualcun altro quando si registrano sconfitte.
Un atteggiamento alquanto arrogante che denota l’assoluta incapacità di fare sana e costruttiva autocritica.
La colpa è del voto utile richiesto da Veltroni. La colpa è dei rifiuti che hanno sepolto l’immagine della sinistra. La colpa è del sole che ha indotto le persone ad andare al mare. La colpa è di Berlusconi. La colpa è della coalizione. La colpa è del simbolo.
Alibi e giustificazioni a cui non crede nessuno, nemmeno chi continua a ripeterle.
La verità è che la sinistra con le elezioni del 2008 è solo scomparsa dalle istituzioni ma era già malata da molto, troppo tempo. Un’agonia lenta ed inesorabile che prima o poi doveva portare ad un triste epilogo.
E se qualcuno contava sul voto “fisiologico” e responsabile che sempre in modo naturale arriva da sinistra, per garantirsi di nuovo la poltrona, questa volta ha fatto male i suoi conti.
Perchè quello che la stampa non dice, quello che nessuno ammette, è che il consenso questa volta alla sinistra è venuto meno non solo dal popolo di sinistra, ma dagli stessi iscritti e militanti dei partiti della sinistra.
Quello che la stampa non dice è che molti militanti hanno provato sicuramente tanta amarezza perché alla guida del Paese è tornato Berlusconi, ma anche un senso di liberazione.
Liberati da una gestione autoreferenziale, arrogante e asservita a quello stesso sistema di cui la sinistra dovrebbe essere, se non la contrapposizione, almeno l’anima critica.
L’articolo apparso il 16 aprile su “Il Manifesto”: “I Berti-boys sull'orlo del baratro…il clan delle playstation” a firma di Sara Menafra, in tal senso è illuminante.
L’articolo parla di una sinistra fatta di giovani rampanti, spesso senza né arte e né parte, che hanno ben recepito il messaggio dei nostri tempi: non fare politica ma usare la politica.
Perché questo è quello che si fa oggi costringendo ad una politica autoreferenziale e asservita.
Una politica che segue e insegue i media. Una politica fatta di meri proclami elettorali, di finte battaglie finalizzate solo ad avere una volta in più il proprio nome sui giornali.
Una politica che predica bene e razzola male.
L’articolo citato non ha sorpreso quanti, soprattutto in Campania, hanno vissuto il lungo processo di svuotamento dell’identità di sinistra, al suo progressivo prostrarsi ai centri reali di decisione e controllo.
Una sinistra “radical chic” e snob capace di scatenare dibattiti accesi solo al suo interno su chi deve “essere” e sempre meno interessata a “cosa fare”.
Lontana dalla volontà di costruire un vero radicamento sociale atto a contrastare le peggiori derive liberiste.
Lontana sempre più dai problemi sociali. Brava nei proclami, negli slogan, nelle parole d’ordine, ma non interessata alla loro realizzazione.
Così in Campania dice no alla privatizzazione dell’acqua, ma quando un deliberato regionale campano prevede la svendita delle quote dell’acquedotto pugliese, non interviene. Si dice contraria ad uno statuto presidenzialista, ma poi in aula lo vota insieme alle “radici cristiane”.
Adesso che è diventato tanto di moda attaccare Bassolino per la questione dei rifiuti, alza la voce e dice insieme agli altri “..a casa”.
Dimenticando che appena fu fatto il contratto capestro con la FIBE, l'ordine di scuderia è stato: “Non si disturba il manovratore”.
No alla guerra “senza se e senza ma!”. Uno slogan che risuona ancora nelle orecchie.
Ma appena girato l’angolo, si votano i finanziamenti e si decide che le truppe rimangono, perché il governo non può cadere su questo…non ancora. Almeno facciamo maturare i tempi giusti per prendere una congrua pensione.
E così, rivoluzionari, ambientalisti e pacifisti decidono che un lauto stipendio può anche far diventare una “guerra giusta”.
Sono mancate le proposte? No, ci sono state tutte. Sulle morti sul lavoro ogni giorno, sulla precarietà crescente, sui contratti, come quello dei metalmeccanici sull'emergenza salari; insomma, c’è stato tutto nel calderone, tutti quei problemi che il governo non solo non può dire di avere minimamente risolti ma neppure avrebbe saputo come affrontare.
Ma sono stati solo temi mediatici.
La sinistra non ha risposte? Questo è il messaggio decisivo, è questa la sentenza?
Ma le risposte le ha cercate? O era meno faticoso e più rilassante dedicarsi alla playstation?
C’è da meravigliarsi della debacle? C’è da meravigliarsi che da questo sfascio della sinistra chi ne ha tratto vantaggio è stata la destra?
A casa Bassolino, certo, ma a casa anche tutti coloro che c’erano, hanno visto ed hanno taciuto, sapevano e non hanno impedito. E si poteva fare.
Ma Bassolino all’epoca era “ò governatore”, il grande vincitore sul cui carro sono saliti tutti e che ha fatto la fortuna di molti.
Ora Bassolino è il ferito a morte: fin troppo facile inveire.
E se è vero che Bertinotti ha proposto che i giovani rampanti non eletti in questa tornata elettorale devono essere considerati “precari dello stato” e che si deve trovare un modo per non farli rimanere in mezzo alla strada, vuol dire che la lezione non è ancora servita.
Non è continuando a curare solo il proprio orticello che, questa sinistra abituata ad usare il partito come “ufficio di collocamento”, potrà riconquistare la credibilità perduta.
Bisognerebbe ricordare, a chi ha a cuore il futuro di questi “neo-disoccupati politici”, che ci sono stati e ci sono, sia nel parlamento che nei consigli regionali di tutto il Paese, collaboratori e portaborse che hanno lavorato e lavorano nei gruppi politici, incluso quelli di sinistra, spesso senza contratto, o con contratti a progetto, che pur facendo questo lavoro anche per molte legislature, sono e restano precari, senza alcun paracadute sociale.
Non si maturano diritti nelle cariche politiche. E non c’è nulla di indecoroso, per chi ha avuto un ruolo politico istituzionale, a trovarsi un lavoro normale.
Certo, forse ci sarà meno tempo per dedicarsi alla playstation, ma ci saranno sempre le domeniche e le vacanze estive.
Per chi è cresciuto, ha lottato, ha improntato la sua vita scegliendo e credendo nei valori della sinistra, l’amarezza è grande perché c’è la consapevolezza piena che un periodo storico è finito.
Da dove si ricomincia adesso?
Ciò che rende questa sconfitta davvero devastante, non è in sé la mancata presenza in parlamento di una rappresentanza di sinistra, fatto di per sé grave e quasi unico, ma soprattutto la constatazione che, questo modus operandi è riuscito a veicolare l’idea di una sinistra inutile, non credibile e “uguale agli altri”, se non peggio.
Questa è la responsabilità più grande, questa è la vera colpa, questo è davvero imperdonabile.
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