domenica 30 dicembre 2007

Emergenza rifiuti in Campania. Chi finanzia, chi comanda e chi esegue, chi guadagna, chi rischia.

L’emergenza-scandalo rifiuti in Campania danneggia l’ambiente, le risorse naturali ed ambientali autoctone, danneggia la salute dei cittadini, l’economia regionale: è evidente a tutti che la squallida situazione nella quale si trova ripetutamente il territorio regionale è propedeutica anche per un disastro sanitario. Dopo oltre 13 anni di inconcludenti azioni attuate da vari commissari di governo è evidente che in Campania si è giunti ad una spregiudicata istituzionalizzazione dello stato di emergenza ambientale.
Analizziamo scientificamente i dati disponibili.
In questi anni di “emergenza-scandalo rifiuti” si è ben delineata la seguente filiera.
C’è chi ha finanziato profumatamente le strutture commissariali, le opere finora realizzate, i trasporti e smaltimenti di rifiuti vari in Campania, fuori regione e all’estero. E’ evidente che le risorse finanziarie utilizzate sono risorse pubbliche e sono state alimentate dalla tassazione dei cittadini. Quindi i cittadini sono i finanziatori che hanno sostenuto il proliferare di tutto quanto ha girato attorno ai commissari di governo nominati dai governi nazionali finora succedutisi ed espressione di varie coalizioni politiche.
C’è chi ha comandato e chi ha eseguito. Il fatto che dopo oltre 13 anni di costosi interventi che non hanno risolto il problema rifiuti in Campania e che i governi non abbiano mai fatto chiarezza sulle cause che impedivano la risoluzione dell’emergenza, reiterando ciecamente gli incarichi a vari Commissari straordinari, può essere attribuito solo al fatto che i governi hanno obbedito a dei comandi imposti da chi aveva forti interessi a mantenere attiva una situazione in grado di facilitare notevoli guadagni.
C’è chi ha guadagnato. Il flusso di risorse finanziarie pubbliche ingoiato dall’emergenza-scandalo rifiuti è stato consistente. Sono stati realizzati impianti che dovevano essere CDR e che invece sono dei tritovagliatori che non hanno prodotto ecoballe con i requisiti imposti dalla legge vigente. E’ in via di ultimazione l’inceneritore di Acerra in un sito già attualmente inquinato oltre i valori previsti dalla legge. Sono state realizzate discariche per accumulare rifiuti tal quale prodotti fuori legge dagli impianti definiti Ex CDR dallo stesso Commissario di Governo e dai NOE. Tutte le operazioni connesse all’emergenza rifiuti sono state eseguite da imprese che hanno utilizzato migliaia di persone e tratto notevoli guadagni. Naturalmente vi è riconoscenza da parte di tutti i beneficiati verso coloro che hanno permesso, in vario modo, i guadagni.
C’è chi rischia. Rivedendo le cronache dei tredici anni e oltre di emergenza rifiuti si evidenzia che gravi inquinamenti ambientali, nelle aree urbane nelle quali i rifiuti giacevano per lunghi periodi e spesso venivano incendiati nelle strade, e nelle discariche eseguite spesso in siti non idonei determinando inquinamento del suolo e delle acque superficiali e sotterranee (ad esempio a Lo Uttaro vicino a Caserta e a Basso dell’Olmo sul fiume Sele) hanno sempre accompagnato l’attività commissariale. Tali evidenti situazioni di inquinamento ambientale hanno ripetutamente determinato la diffusione a scala mondiale di un’immagine regionale squallida con conseguenti danni economici per le attività turistiche ed agricole e produttive in genere. I cittadini campani sono stati sottoposti per lunghi anni a ripetute situazioni di rischio sanitario e non hanno goduto del diritto alla salute previsto dall’articolo 32 della Costituzione Italiana.
L’approccio scientifico applicato all’analisi dell’emergenza-scandalo rifiuti mette spietatamente in evidenza che i cittadini campani stanno ancora finanziando la loro autodistruzione.
E’ singolare che gli stessi cittadini campani hanno finanziato le attività dei Commissari di Governo le cui azioni, di fatto, non solo non hanno garantito la risoluzione del problema rifiuti ma hanno consentito notevoli guadagni per realizzare interventi che hanno incrementato il rischio per la salute e il rischio di inquinamento irreversibile per le risorse ambientali e naturali autoctone.
Ma i cittadini campani che rappresentano la maggioranza della popolazione non facente parte della casta dei privilegiati che ha finora guadagnato con l’emergenza rifiuti, hanno capito cosa hanno finanziato finora?
E che ne pensano?


Franco Ortolani
Ordinario di Geologia
Università di Napoli Federico II

Emergenza rifiuti in Campania e tutela delle risorse naturali autoctone di importanza strategica

L’emergenza-scandalo rifiuti in Campania danneggia sempre più l’ambiente, le risorse naturali ed ambientali autoctone, la salute dei cittadini e l’economia regionale: è evidente a tutti che la squallida situazione nella quale si trova ripetutamente il territorio regionale è propedeutica anche per un disastro sanitario. Dopo oltre 13 anni di inconcludenti azioni attuate da vari commissari di governo è evidente che in Campania si è giunti ad una spregiudicata istituzionalizzazione dello stato di emergenza ambientale.
Il Commissario di Governo non si rende conto che pur di togliere la spazzatura dalle strade sta promuovendo interventi che mettono a rischio anche le risorse ambientali e naturali autoctone di importanza strategica quali l’acqua potabile e quella per l’irrigazione delle pianure.
Una delle ultime proposte per accumulare rifiuti imballati consiste nella possibile realizzazione di una discarica nell’area militare di Mandrano-Mandranello, sui Monti della Maddalena nel territorio comunale di Padula, lungo il confine tra Campania e Basilicata.
Tale proposta è veramente straordinaria.
I Piani di Mandrano e Mandranello costituiscono due bacini di origine tettonico-carsica ubicati alla sommità dei monti costituiti da rocce calcaree che separano il Vallo di Diano dalla val d’Agri e che rappresentano i più importanti serbatoi naturali di acqua potabile che alimentano la Campania, la Basilicata e la Puglia; in tali piani sono evidenti i fenomeni carsici (inghiottitoi) ubicati anche nella carta topografica. I Piani di Mandrano e Mandranello sono molto noti nella letteratura idrogeologica perché alimentano le sorgenti di acqua potabile utilizzata dagli acquedotti della Basilicata. L’assetto geologico che favorisce la circolazione delle acque sotterranee è stato oggetto di numerose pubblicazioni scientifiche così come la tettonica attiva che ha causato il sisma del 1857 del X-XI grado ed ha riattivato faglie superficiali lungo la dorsale dei Monti della Maddalena.
La individuazione dei piani di Mandrano-Mandranello risulta del tutto incomprensibile. Una discarica di materiali inquinanti è assolutamente incompatibile con l’assetto geologico dell’area.
L’importanza strategica delle acque potabili sotterranee, nell’attuale periodo di cambiamento climatico caratterizzato da un decremento delle precipitazioni piovose, è sempre più evidente e devono essere evitati interventi che determinino un pericolo di inquinamento irreversibile.
L’attivazione di faglie superficiali con spostamenti verticali e laterali decimetrici e la rotazione di blocchi in aree interessate da tettonica sismogenetica rappresentano problemi geoambientali insuperabili relativamente alla realizzazione di impianti pericolosi per l’ambiente e le risorse idriche.
Credo che la proposta di discarica a Mandrano-Mandranello debba essere considerata come l’ennesimo errore tecnico commesso dal Commissario di Governo relativamente alla scelta dei siti in cui realizzare discariche.

Prof. Franco Ortolani
Ordinario di Geologia
Direttore del Dipartimento di Pianificazione e Scienza del Territorio
Università di Napoli Federico II

Il caso Bagnoli: sviluppi

L’Assise Cittadina per Bagnoli sollecita l’attenzione della società civile e degli organi di informazione cittadina sulla conferenza di servizi che si terrà il 19 dicembre a palazzo San Giacomo, dove si dovranno valutare i tre progetti in lizza per il porto di Bagnoli; i soggetti promotori, su richiesta della Soprintendenza Regionale ai Beni Culturali e Paesaggistici dovranno dimostrare documentatamente la rispondenza delle loro proposte ai vincoli storico ambientali insistenti sul litorale.
L’Assise ritiene che le decisioni assunte in quella sede potranno essere decisive per la riqualificazione di Bagnoli e che debbano essere prese nella massima trasparenza, garantendo ai cittadini il diritto alla partecipazione democratica: condivide e sostiene quindi le richieste di quanti, dai semplici cittadini alle associazioni ambientaliste (Wwf, Italia Nostra, Greenpeace, Vas), hanno chiesto al Comune di poter presenziare alla conferenza e seguirne i lavori.

L’Assise giudica inoltre negativamente la decisione di procedere all’appalto del porto di Bagnoli, per le seguenti ragioni:

In primo luogo, appare assurda la fretta con cui si intende ipotecare parti di territorio per il cui recupero non sono state ancora state definite soluzioni, tempi e risorse certe (l’Accordo di Programma Quadro che prevede la rimozione della colmata e la bonifica del litorale di Bagnoli non è stato ancora firmato). Attribuendo anzitempo a soggetti privati diritti commerciali su aree pubbliche oggetto di risanamento si rischia di generare futuri contenziosi giuridici e finanziari, qualora variassero tempi e modi dell’intervento pubblico. Basti pensare a quanto è successo sul litorale di Bagnoli: l’improvvido rilascio (e successiva sospensione) di concessioni balneari su spiagge che si sapeva da tempo essere inquinate, permette oggi al Consorzio Mare Bagnoli di brandire contro l’ente pubblico l’arma di una milionaria richiesta di risarcimento per danni.

Il secondo punto critico consiste nel cosiddetto “porto-canale”, previsto dal Piano Urbanistico Esecutivo per l’ambito di Coroglio. approvato dal Consiglio Comunale nel maggio 2005: una approvazione mai perfezionata, dato che il Comune ha semplicemente ignorato il parere negativo espresso allora dalla Soprintendenza ai Beni Architettonici, Paesaggistici e Culturali di Napoli (ed oggi ribadito dalla Soprintendenza Regionale). Un parere, si badi bene, giuridicamente vincolante, che rilevava come la soluzione portuale contenuta nel Piano contrastasse sia con i vincoli storico-ambientali, come il decreto di vincolo ministeriale emesso ai sensi del d.l. 490/99, che con l’articolo 14 della 582/96, la prima legge di finanziamento della bonifica di Bagnoli, che disponeva perentoriamente “il ripristino della morfologia naturale della costa”. Il “porto-canale”, viceversa, scava nella piana di Coroglio oltre 500mila metri cubi di terreno per impiantarvi una darsena grande come 7 campi da calcio, spezzando l’antico tracciato di via Coroglio, percorso storico che attraverso la grotta di Seiano metteva in comunicazione Napoli con Bagnoli e l’area flegrea. Una soluzione sbagliata sotto il punto di vista storico ed ambientale, che presenta oltretutto rilevanti problemi impiantistici e gestionali (l’elevato rischio di insabbiamento, rilevato degli studi dell’ingegner Benassai e del geologo Canniparoli) che rischiano di ripercuotersi sugli equilibri generali dell’intero progetto di riqualificazione.

Infine, esiste una questione sociale di accesso alla risorsa mare, ignorata dagli enti pubblici. Da oltre dieci anni le amministrazioni di centrosinistra difendono la scelta di impiantare un porto su quella che è l’unica spiaggia di Napoli, malgrado le centinaia di posti barca esistenti al Molosiglio, a Santa Lucia, a Mergellina, come anche il migliaio previsto a Vigliena (per non parlare di Pozzuoli, Castellammare, e di tutti i nuovi porti turistici che la Regione Campania, malgrado sia priva di un piano spiagge, prevede di realizzare nei prossimi anni). Gli interessi dei proprietari di barche, dell’industria nautica, degli imprenditori turistici esigono che venga compromesso il recupero della balneazione anche sull’ultimo arenile di una città di mare che ormai è tale solo di nome. L’impossibilità di fruire gratuitamente del mare sotto casa, particolarmente patita dei ceti popolari, genera disagio e perfino morte, come accadde pochi anni fa ad una povera madre perita nei gorghi della inquinatissima spiaggia di Vigliena; di fronte a queste tragedie il Comune sa solo distribuire medaglie alla memoria, senza muovere un dito per rendere effettivo il diritto al mare. Pur avendo un’estensione costiera di quasi 20 km, il comune di Napoli è privo di una vera spiaggia balneabile: escludendo 5 km occupati da strutture portuali, 5 da scogliere (da Mergellina al Molosiglio) e 6,5 km di litorale roccioso seminaccessibile (Posillipo), le uniche spiagge di una certa consistenza sono quella di San Giovanni a Teduccio e di Bagnoli, entrambe precluse all’accesso. La prima, lunga meno di 1 km e profonda poche decine di metri a ridosso dei binari ferroviari, è attualmente inquinata dagli scarichi fognari e minacciata dai futuri reflui di mille imbarcazioni previste a Porto Fiorito, nonchè dagli effluvi della centrale a turbogas di Vigliena; la seconda, lunga 2,5 km e profonda una settantina di metri, è gravata da inquinamento di origine industriale sia sugli arenili che nei fondali marini.
Il Piano Regolatore approvato nel 1998 aveva stabilito che Bagnoli sarebbe diventata la spiaggia di tutti i napoletani e per il recupero del litorale di Bagnoli si prevedono investimenti pubblici per centinaia di milioni di euro, che verrebbero vanificati dalla realizzazione di un porto: questa struttura inquinerebbe inevitabilmente le acque della rada, dove il via vai dei natanti minerebbe la sicurezza della balneazione; rischia inoltre di aggiungersi, anziché sostituire, il porto semi-abusivo esistente oggi a Nisida, che dai 3-400 ormeggi consentiti si espande nel periodo estivo ad oltre 1500 barche, in barba ai controlli della Guardia di Finanza.

Per le ragioni esposte, riteniamo che la realizzazione di qualsiasi porto a Bagnoli confligga sia con le norme di tutela ambientale che con gli obiettivi di interesse pubblico per quell’area; in ogni caso, riteniamo che nessuna decisione debba essere presa prima che siano definite ed avviate le operazioni di recupero del litorale, e che quindi occorra rimandare sine die la suddetta conferenza dei servizi. Appoggiamo l’azione coraggiosa della Soprintendenza a difesa intransigente del patrimonio storico ed ambientale dell’area e confidiamo che la stessa, senza farsi intimidire dalle pressioni dei gruppi di interesse, resti coerentemente attestata sulla linea finora seguita.

NAPOLI NON HA BISOGNO DI NUOVI PORTI MA DI UNA GRANDE SPIAGGIA PUBBLICA AD ACCESSO LIBERO, APERTA A TUTTI I NAPOLETANI. OCCORRE MOBILITARSI PER DIFENDERE IL PATRIMONIO AMBIENTALE E STORICO DI BAGNOLI DA OGNI MINACCIA SPECULATIVA!

L’Assise Cittadina per Bagnoli organizzerà per le ore 12 di mercoledì 19 una conferenza stampa di fronte a palazzo San Giacomo, per sostenere l’operato della Soprintendenza e ribadire le ragioni del no ad ogni porto sul litorale di Bagnoli. Sono invitati la stampa, i cittadini, i comitati civici e le associazioni ambientaliste.

domenica 16 dicembre 2007
Massimo Di Dato, Marco Pirro
coordinatori dell’Assise Cittadina per Bagnoli

info: assisebagnoli@libero.it
cell. 3472954487 (marco)
cell. 3402716771 (massimo)

martedì 18 dicembre 2007

"Un libro in più" - Bookcrossing natalizio al CEICC - mercoledi 19 dicembre, ore 17.30

Se a casa hai un libro che parla di Europa, dei Paesi che ne fanno parte, della cultura che essi esprimono, dei temi di attualità e politica che l'Unione Europea quotidianamente affronta.

Se pensi che il tuo libro meriti qualche lettore in più, mettilo in circolo e portalo al CEICC. In cambio riceverai un quaderno.

Il 19 dicembre alle 17.30 infatti il CEICC presenta il n. 1 del Quaderno CEICC "Un Puzzle Chiamato Europa": notizie - informazioni - approfondimenti - riflessioni sui paesi he oggi, domani o forse mai entreranno a far parte dell'Unione.

E' un'occasione per un brindisi di auguri. BUON NATALE A TUTTI !
Il CEICC è sito a Via Partenope, 36 (ex Facoltà di Economia e Commercio). Info: www.ceicc-napoli.it

TV: La7 trasmette un interessante documentario sull'emergenza rifiuti in Campania

Chi si è sintonizzato ieri sera sul canale La7 intorno alle ore 21.00 ha potuto vedere, durante la trasmissione di approfondimento "Exit", un interessante documentario che ha affrontato in maniera molto dura e - purtroppo - realistica l'emergenza rifiuti in Campania e soprattutto quanto i livelli di inquinamento a cui siamo arrivati mettano a repentaglio la nostra salute.
Chi non ha avuto la possibilità di guardare il programma, non deve perdersi la versione internet che può essere vista in streaming seguendo questo link.
Fate vedere queste immagini a quanta più gente possibile e rendiamoci conto di come siamo riusciti a distruggere un territorio di una fertilità e di una bellezza unica. Non c'è più tempo, è ora di rimboccarci le maniche e di fare qualcosa per favorire una inversione di tendenza.

Mario de Riso

venerdì 14 dicembre 2007

EUROPA, ULTERIORE CONDANNA PER L’ITALIA - PERSI TROPPI AIUTI DI STATO, DISAPPLICATI OBBLIGHI LEGALI

Oltre a non aver saputo recuperare gli aiuti di Stato concessi alla Brandt Italia nel 2004 e dichiarati incompatibili dalla Commissione Europea, il nostro Paese non è riuscito a dimostrare l’impossibilità assoluta di dare esecuzione alla decisione comunitaria, disapplicando pertanto gli obblighi legali.

A questa ovvia ed amara conclusione è giunta la Corte di Giustizia Europea, con la sentenza emessa lo scorso Giovedì 6 Dicembre nella Causa C-280/05. L’Italia è stata giudicata responsabile della violazione delle norme Ue.

Si imputa all’Italia di non avere adottato, entro i termini prescritti, i provvedimenti necessari per recuperare presso i beneficiari gli aiuti dichiarati illegittimi e incompatibili con il mercato comune.

L’Italia, per la Corte Europea, avrebbe quindi dovuto sospendere tutti gli aiuti in corso adoperandosi contrariamente al recupero di quelli già concessi.

Al nostro Stato l’Europa rimprovera, nel caso specifico della Brandt Spa, di non aver seguito le procedure previste.

Nel caso di difficoltà impreviste ed imprevedibili, che si pongono come ostacolo all’esecuzione da parte del Paese interessato della decisione comunitaria, lo stesso deve sottoporre i problemi insorti alla valutazione dell’Esecutivo che provvede a rimuoverli. Così non è stato fatto.

Prevedibile dunque, ma non evitata, una ulteriore condanna del “Bel Paese”.
Cristiana Smurra – Segretario MFE sezione Rossano

lunedì 10 dicembre 2007

La vertenza dei lavoratori dell'ARPAC


L'Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Campania (ARPAC), è un Ente regionale istituito nel 1998. Ha il compito di sviluppare attività di monitoraggio, prevenzione e controllo per la tutela della qualità del territorio e per favorire il superamento delle molteplici criticità ambientali della Campania.

Le attività istituzionali svolte dall'ARPAC sono connesse alle funzioni di protezione e risanamento ambientale a livello locale: vigilanza e controllo sul rispetto delle normative vigenti, supporto tecnico-scientifico agli Enti Locali, erogazione di prestazioni di rilievo sia ambientale che sanitario, realizzazione di un sistema informativo e altre attività di ricerca e informazione in campo ecologico.

In una regione come la Campania, da anni è soggetta ad una crisi ambientale ormai irreversibile, ci si aspetterebbe che un ente di questa importanza abbia i mezzi per operare al meglio.

I lavoratori dell’Agenzia sono invece, da qualche tempo, in stato di agitazione.

Infatti, da un lato il personale lamenta il sempre maggiore ricorso agli strumenti del precariato per i lavoratori dell’Agenzia e la necessità di procedere alla stabilizzazione dei contrattisti.

Ma c’è di più. Lo stato di agitazione, si legge in una nota dei sindacati aziendali, si estende anche nei confronti della Regione Campania affinché “prenda atto delle sempre maggiori e pressanti richieste rivolte all’Agenzia di interventi urgenti per far fronte ai danni ambientali cui è afflitto il territorio della Campania, più che mai pattumiera d’Italia (e forse europea), il quale continua ad essere devastato da danni ambientali, quali la mancata raccolta dei rifiuti, suoli e fiumi inquinati, ecc. e provveda allo stanziamento delle risorse economiche necessarie per finanziare i piani di attività di ARPAC, ivi compreso quelle occorrenti per il piano triennale di stabilizzazione del personale precario”.

La gravità della situazione è tale che i Sindacati, dopo un’assemblea sindacale pubblica svoltasi il giorno 6 e una manifestazione con presidio della sede regionale, tenutasi il 7 dicembre scorso, hanno proclamato uno sciopero per il giorno 18.

Al momento la situazione è in divenire: la Presidenza della Giunta Regionale, dopo aver ricevuto una delegazione dei lavoratori dell’Agenzia, si è impegnata a convocare il giorno 18 p.v. - in concomitanza con lo sciopero - la Commissione Ambiente, congiuntamente agli assessori all’Ambiente, alla Sanità ed al Bilancio, nonché il Management e le Organizzazioni Sindacali dell’ARPAC, per un approfondito esame dei problemi posti e per l’adozione delle soluzioni più opportune.

Teniamo le dita incrociate affinché un Ente come l’ARPAC abbia finalmente gli strumenti e il personale per poter vigilare al meglio sul nostro amato territorio.

Per info sull’attività dell’ARPAC: www.arpacampania.it

Io, monolite di Serra, vi racconto il MADRE - Burlesque su di un'opera d'arte "oltraggiata"


Ascesa e declino dell'installazione concettuale dal punto di vista di lei medesima. Dal battesimo al museo alla funzione di appendiabiti.

Mettiamoci nei panni, o meglio, nella sostanza ferrosa, di un’opera d’arte di Richard Serra, in particolare il parallelepipedo coperto di ruggine, simbolico quanto il monolite di Kubrick de «L’Odissea nello spazio» ma dal volume pari alla cubatura di un confortevole "basso" ai Quartieri Spagnoli, che fa parte della collezione permanente del Madre, il museo d’arte contemporanea di Largo Donnaregina in Napoli. Abbiamo una bella stazza, 18 tonnellate, ed una bella stanzetta ai piani alti del nuovo museo-fondazione da 45 milioni di euro (Edoardo Cicelyn, il curatore, li ha recentemente contati per Exibart).

LA PRIMA VOLTA - Siamo stati accolti con tutti gli onori, la prima volta a Napoli, nel nuovo anno 2004 al museo Archeologico in occasione di una personale di papà Richard e, per il battesimo dei fotografi, ci hanno scelti sia papà che il governatore Bassolino, in posa proprio davanti a noi.

Poi, non ci hanno fatti partire più: un anno dopo, nel maggio del 2005, quando è scattato il count-down per l’apertura del primo museo d’arte contemporanea della città, le istituzioni ci hanno assolutamente voluti nella collezione permanente del nascituro museo — a che prezzo non ha importanza, di denaro si può anche parlare in riferimento all’arte, ma in una stanza, pubblicamente invece, in Campania, è una cosa certamente volgare — tributandoci dunque un onore suppletivo e maggiore del precedente. Poco dopo, durante le disagevoli operazioni di trasporto al Madre, con una punta di brivido e perché no, divertita soddisfazione, abbiamo assistito al piegarsi della strada alla nostra potenza, quando in vico Donnaregina il basolato ha ceduto al nostro passaggio, per ben due volte, stracciando le tubature dell’acqua: un’ulteriore preoccupazione per i poveri abitanti di quell’antica strada tanto martoriata e puntellata tutt’intorno al fiammante museo inaugurato in tre rapide tappe.

Al primo crollo, la Protezione Civile ha fatto scaricare un tir di sabbia lungo tutto il vicolo di 400 metri, ma quando gli operai hanno ricominciato a tirarci sotto una violenta bufera — che risate — al civico 11 la strada ha ceduto di nuovo, terrorizzando i periti che, nel palazzo, stavano già effettuando prove di agibilità.



Bicchieri e cappotti sul «povero» monolite

PARTY E «OLTRAGGI» - Orbene, dopo tutto questo dobbiamo pensare ad uno scherzo delle benevoli istituzioni partenopee, se oggi le nostre regali stazze fungono da complemento d’arredo durante i giovedì danzanti del Madre e, nell’occasione, servano da appendi abiti o da piano d’appoggio per i cocktail venduti al bar poco distante da noi: il primo caffè museale con drink-card d’ingresso obbligatoria, un esempio unico in Europa e probabilmente anche negli Usa.

Infatti, come d’incanto — ma senza alcun incanto pubblico — da qualche mese a pochi metri da noi monoliti di Serra, sulla porta dell’angolo-bar museale, è apparso un elegante cameriere che distribuisce con cortesia ma perentorio tagliandini colorati come quelli delle discoteche di Montauricchio, per l’ingresso con consumazione, necessari pure a chi, magari dopo aver a lungo visitato il museo, vorrebbe solo un bicchier d’acqua. Per la verità, per gran parte della settimana noi monoliti di Serra siamo in buona compagnia, non c'è che dire: Rebecca Horn, Anish Kapoor, Jeff Koons, Jannis Kounellis, Sol LeWitt.

Epperò, nessuna fanciulla si sogna mai d’appendere borsa e maglione su un teschio della Rebecca, o di appoggiare il gin-lemon sul naso del Pluto di Koons. E per giunta, una volta che si sono serviti, questi giovinastri napulegni ci danno anche le spalle, come giovedì scorso una fanciulla riccia, troppo occupata dal fuoco di fila del corteggiamento di due amici ben allegri: che almeno si faccia vedere, questa graziosa fanciulla, un po' di considerazione.

Che almeno prenda il bicchiere, la prossima volta, per brindare con noi, portando a noi monoliti di Serra la coppa per un sonoro «cin».

Zampanò

sabato 8 dicembre 2007

Botte Di Natale pt.2 - Fini vs. Berlusconi

Il «Roma» attacca Berlusconi: «Solita arringa, ma non incanta Napoli» Il giornale napoletano della destra tira due fendenti al leader azzurro in visita in città. È il prologo di una guerra a destra?


NAPOLI - Che la Casa delle Libertà scricchioli è ormai un fatto noto da tempo. Ma ora a mettere in piazza le crepe nel centrodestra è il «Roma», organo del Movimento politico-culturale «Mediterraneo», strettamente legato al deputato della destra, Italo Bocchino, «figlioccio» di Pinuccio Tatarella e fedelissimo di Gianfranco Fini.

Cosa ha scritto il quotidiano napoletano diretto da Antonio Sasso? Per commentare la serata napoletana di Silvio Berlusconi, ha usato due titoli molto tranchant. Per sottolineare come la visita del Cavaliere fosse un (mezzo) flop, il «Roma» - che in passato non aveva lesinato toni entusiastici ai «bagni di folla» del Cavaliere nel Golfo - ha utlizzato in prima pagina il seguente titolo: «Berlusconi non incanta Napoli».

A dimostrazione che che l'ha davvero con il Cav., a pagina 3, c'è un esplicito bis: «Solita arringa, ma la platea snobba» a firma di Rodrigo Rodriguez. Niente sconti, il tono è quello della resa dei conti. Cosa significa? Il giornale della destra interpreta il sentimento dei finiani verso Berlusconi, accusato di voler fare campagna acquisti anche a mercato chiuso e, soprattutto, nel recinto degli alleati. Perciò il «Roma» traduce in modo plastico il sentiment diffusonella base.

Non solo: proprio mentre la Destra di Storace (e di Antonio Rastrelli e Bruno Esposito) manifesta lealtà senza «se» e senza «ma» al condottiero azzurro, ecco che i colonnelli di Fini affilano le armi verso Forza Italia e il nascente partito (o popolo) delle libertà. Un modo per segnalare un'identità anche a destra, ma anche un prologo per i fuochi d'artificio che potremmo vedere nei prossimi mesi.

Nino Femiani - Corriere del Mezzogiorno

Botte Di Natale pt.1 - Bassolino vs. Nicolais


NAPOLI — Scena già vista. Uno entra, l'altro esce, uno sale sul palco, l'altro scende. E così in mattinata mantengono il punto, ministro e governatore, e fanno in modo di non incontrarsi a Nola nel corso dell'inaugurazione del "Vulcano Buono".

Consapevoli anche che nel pomeriggio, alla prima riunione del comitato nazionale del Pd, volenti o nolenti si ritroveranno e molti occhi saranno per loro. Antonio Bassolino e Gino Nicolais sono diventati i protagonisti di una sorta di soap-opera politica, in cui, dal 24 novembre in poi (giorno cioé dell'elezione della segretaria provinciale Emma Giammattei e del ribaltone), ci sono stati colpi di scena improvvisi, il governatore che dà del correntista trasformista al ministro e chiede l'intervento di Veltroni, il braccio destro di Veltroni, Bettini, che arriva a Napoli e chiede di chiudere la vicenda e non parlarne più.

Gossip a gogo prima della riunione. Cosa sarà successo mai all'hotel romano Parco dei Principi, presente lo stato maggiore del Partito democratico? Il caso ci ha messo lo zampino: governatore e ministro si ritrovano al banco delle registrazioni, vicini. Si guardano, si sorridono e poi si stringono la mano. La notizia si diffonde a velocità della luce a sottolineare che la pace è fatta.

Com'è lontana Napoli da Roma. Nessun incontro formale, però. Bassolino e Nicolais non parlano tra di loro. Ci penseranno gli altri a mediare. Governatore e sindaca sono vicini di sedia. Nicolais si accomoda accanto al segretario regionale Tino Iannuzzi. Passa Walter Veltroni che, pare, dica a Iannuzzi: «Senza Gino (Nicolais) non ce l'avresti fatta». E a Nicolais subito dopo: «Sono convinto che continuerai ad appoggiare Tino (Iannuzzi)».

In sala si discute del caso Napoli e la parola d'ordine è unità, chiudere la vicenda politica. Si fanno capannelli. Il ministro parla con il leader del Pd. Bassolino discute prima con Fassino, poi con Bettini e infine con Veltroni. Smussare gli angoli e abbassare i toni in vista dei congressi veri e propri. Un ironico Ciriaco De Mita si ferma con i Nicolais boys che stanno in attesa: «State calmi, non vi agitate tanto». Annamaria Carloni si tiene a distanza, Teresa Armato fa da confidente. Veltroni, simbolicamente, dirige l'unità partenopea.

Simona Brandolini - Corriere del Mezzogiorno

giovedì 22 novembre 2007

Montezemolo: "la ripresa del Mezzogiorno è impossibile senza sicurezza e infrastrutture"

NAPOLI - Una ripresa del Mezzogiorno, che continua a presentare indicatori economici negativi, può contare sul contributo fondamentale delle imprese, ma a patto che le grandi diseconomie in tema di mancanza di infrastrutture, burocrazia e sicurezza siano affrontate e risolte dal sistema politico. Questa in sintesi l’analisi del presidente di Confindustria Luca Cordero di Montezemolo, che è intervenuto alla presentazione di una ricerca sull’economia campana.

«I divari al Sud sono aumentati e le quattro grandi regioni meridionali più in ritardo (Campania, Puglia, Sicilia e Calabria) nelle quali vivono 17 milioni di persone sono l’ ultima grande area in ritardo nell’Europa a 15, mentre ormai quasi tutte le regioni spagnole e la Germania est le hanno ormai superate. Il Mezzogiorno non è capace di attrarre nuovi investimenti, e rappresenta per gli investimenti esteri poco meno dell’ 1 per cento del pil nazionale. Sul fronte dell’occupazione - ha proseguito il presidente di Confindustria - non si registrano miglioramenti significativi: negli ultimi due anni sono stati creati nel Sud solo un quarto dei posti di lavoro creati nel centro nord. Il tasso di occupazione è fermo al 46,2 per cento, ed in Campania al 43,5, il più basso del paese».

La risorsa turismo è una grande opportunità per il Sud e fa registrare qualche segnale positivo. «I passeggeri sui voli internazionali sono più che raddoppiati dal 1998 al 2004, ma siamo ancora lontani - osserva Montezemolo - dal Sud come California d’Italia e il solo Veneto fa registrare 57 milioni di arrivi, poco meno di quelli dell’intero Mezzogiorno». Allarma poi il dato di Napoli con «un milione di presenze turistiche in meno tra 2001 e 2005». C’è poi il nodo della pubblica amministrazione. «Nei comuni del Mezzogiorno le spese per il personale equivalgono alla spesa per servizi e investimenti, mente nelle regioni più sviluppate il rapporto è di uno a quattro». «Nel Mezzogiorno - osserva Montezemolo - la Pubblica Amministrazione costa per se stessa più che per i servizi che eroga».

Il Mezzogiorno registra «la presenza asfissiante dell’attore pubblico con il continuo fiorire di società pubbliche per gestire i servizi che ovunque sarebbero gestiti dai privati. Nella sola Campania ci sono 37 spa regionali ed oltre 50 organismi societari partecipati da enti strumentali o altre società partecipate, in gran parte con bilanci in rosso». C’è anche preoccupazione per «il fiume di denaro che sta per riversarsi sul Mezzogiorno, 100 miliardi di euro tra 2007 e 2013, che si aggiungono ai 50 miliardi già destinati tra 2000 e 2006. E c’è da chiedersi - dice Montezemolo - come sia possibile che le regioni meridionali riescano ad attrarre meno investimenti diretti esteri della sola Umbria, come ha recentemente evidenziato una ricerca della London School of Economics».

Il presidente della Confindustria invita il Mezzogiorno ad «abbandonare definitivamente la logica assistenziale» e sollecita gli imprenditori, meridionali e non solo, a fare la loro parte e «ad impegnarsi con nuove iniziative ed investimenti innovativi in turismo, ricerca, servizi, cultura, e rilancio delle città».

Bassolino, luci e ombre. Guardando al Mezzogiorno occorre valutare luci ed ombre, quanto si è fatto e i nodi che restano irrisolti, ricordando che i dati degli ultimi tempi dimostrano che si può fare, e bene, per il rilancio del Sud. È l’opinione del governatore della Campania, Antonio Bassolino, a commento del «Viaggio nell’economia campana».

«Ancora una volta, come abbiamo detto tante volte - spiega Bassolino - ci servono due occhi. Uno per vedere le cose che abbiamo realizzato, le eccellenze, le esperienze positive, e uno per vedere quello che va corretto. Ma lo studio presentato oggi in complesso ci dice che si può fare, che è possibile fare bene. Lo ha sottolineato anche il presidente Montezemolo nella sua relazione». Secondo il governatore della Campania «in diverse occasioni pubblico e privato in Campania sono stati capaci di mettere in campo sinergie che lui stesso ha definito "da manuale". L’ultimo esempio: il Cis di Nola che arriva in Cina con lo Spazio Italia. È un ottimo esempio perchè è chiaro che l’azienda, da sola, non sarebbe riuscita ad arrivare nel cuore di Tianjin, così come il settore pubblico, da solo, non avrebbe potuto cogliere un’opportunità così importante senza la mobilitazione del sistema delle imprese del Cis».
Corriere del Mezzogiorno
19 novembre 2007

lunedì 19 novembre 2007

In Campania individuati 9 siti di stoccaggio

L'individuazione di nove siti di stoccaggio provvisorio da cui verranno scelti quelli che entreranno in funzione il 20 dicembre dopo la chiusura di Taverna del Re. Norme che consentano di trasformare gli oltre sei milioni di ecoballe (che sono eco solo sulla carta) attualmente presenti in Campania in modo da poterle utilizzare nella ricostituzione morfologica delle cave. E la conferma della fine dello stato di emergenza il 31 dicembre.

Sono questi i tre punti principali di cui si è discusso nel corso della riunione tenutasi a palazzo Chigi sull'emergenza rifiuti nella regione. Per quanto riguarda i siti, il commissario straordinario Pansa ha presentato a palazzo Chigi una lista già sottoposta alle autorità locali. Ai presidenti delle province però sono state concesse ulteriori 24-48 ore per informare i cittadini e condividere con il commissario le scelte. Pansa avrebbe indicato come siti Casamarciano e Chiaiano in provincia di Napoli, Buccino e Baronissi in provincia di Salerno, Morcone e Casalduni in provincia di Benevento, Cava di Carinola in provincia di Caserta, Petrulo Irpino e Lioni in provincia di Avellino.

Tra i siti che verranno scelti, cinque dovranno essere attrezzati per poter diventare discariche, perché resta confermato – e gia lo prevede la legge – che ogni provincia dovrà avere una discarica. Quanto all'ipotesi normativa su cui si sta lavorando, l'obiettivo è quello di trasformare, almeno sulla carta, le ecoballe di proprietà della Fibe ma poste sotto sequestro dalla magistratura in balle in modo da poterle inertizzare e utilizzarle, ad esempio, per ricostituire morfologicamente le cave.

Tratto da "La Nuova Ecologia" - 8 novembre 2007
www.lanuovaecologia.it

sabato 17 novembre 2007

Discarica di ecoballe a San Pietro a Patierno

Nei giorni scorsi sui quotidiani è apparsa la notizia che in Via Cupa Principe di Napoli, nel territorio comunale di Napoli ed in particolare di San Pietro a Patierno, in un una cava dismessa nei pressi del cimitero di Santa Maria del Pianto a Poggioreale e dell’aeroporto di Capodichino, dovrebbe essere realizzato un deposito di rifiuti compattati (ecoballe prodotte senza i necessari requisiti previsti dalla legge vigente, tanto è vero che non possono nemmeno essere bruciate nell’inceneritore) che negli obiettivi del governo e del commissariato straordinario saranno utilizzati, come avverrà negli altri siti individuati in Campania, come "riempimento per il recupero della morfologia delle aree precedentemente adibite a cave”.

Secondo i giornali la cava di Capodichino è ampia 36.000 metri quadrati e, dal 20 dicembre a fine gennaio, dovrebbe ospitare le ecoballe. I giornali non hanno fatto alcun cenno alle caratteristiche ambientali del sito, propedeutiche per l’individuazione dell’ubicazione di una discarica di materiali inquinanti. La conoscenza dell’ambiente e del tipo di intervento da realizzare è propedeutica anche per la stipula di accordi tra chi vuole accumulare materiale inquinante e chi deve riceverlo sul suo territorio.

Al fine di fornire un contributo istituzionale, in verità non richiesto, teso a chiarire le caratteristiche ambientali, lo scrivente ha effettuato rilievi che hanno consentito di evidenziare le principali prerogative dell’area su cui insiste la cava dimessa di Capodichino e delle zone circostanti. Va subito precisato che l’area della cava è notevolmente inferiore a quanto riportato dai giornali ed è di circa 12.000 metri quadrati.

La cava ha utilizzato i sedimenti vulcanici pozzolanici ed è del tipo a fossa, vale a dire che rappresenta un buco scavato al di sotto del piano campagna, per cui tutta l’acqua di precipitazione non defluisce verso l’esterno ma si infiltra nel sottosuolo dopo avere attraversato i detriti accumulati nella cava.

Si trova poche decine di metri a valle del raccordo tra Tangenziale e Autostrada Napoli-Roma, a circa 300 m di distanza minima dall’Aeroporto di Capodichino e dal Cimitero di Poggioreale. La quota del piano campagna circostante varia da circa 70 a circa 65 m. L’area scavata si presenta a ripiani; la parte principale ha una profondità media variabile da 5 a 10 metri; la parte più profonda (circa 1/3) ha la base da 10 a 20 m al di sotto dell’originaria superficie.

All’interno si trovano grandi cumuli di detriti che riducono sensibilmente il volume originariamente scavato. In base ad una valutazione preliminare si stima che per colmare il vuoto attuale occorrono circa 100.000 mc di materiale. Il fondo della cava si trova intorno a 46 m sul livello del mare, per cui si stima che a circa 30 m di profondità si rinvenga la falda idrica. I sedimenti presenti tra la base della cava e la falda sono permeabili.

Nell’area circostante entro un raggio di 300 m si trovano vari edifici abitati. A circa 500 m si trova un edificio scolastico e altri due si rinvengono a distanza inferiore ad 1 chilometro. Ad una distanza compresa tra 500 m e 1 km si trovano edifici abitati da alcune migliaia di persone, sia verso Capodichino che verso Poggioreale.

I venti che prevalentemente spirano nell’area provengono da ovest, da sud ovest e da nord est e disperderebbero i cattivi odori verso le aree abitate. L’accesso alla cava avviene attraverso una stretta via comunale che consente il transito ad autotreni con difficoltà.

La preparazione dell’area, affinché diventi idonea ad ospitare l’accumulo di materiale inquinante come le ecoballe, richiede una impegnativa e costosa lavorazione (considerato che vi sono enormi quantitativi di sedimenti sciolti riportati) al fine di garantire un adeguato appoggio, senza il pericolo di lesioni per la base che dovrebbe essere impermeabile a scala plurisecolare. Trattandosi di un accumulo di materiale inquinante i lavori di preparazione devono essere molto accurati e richiedono alcuni mesi di lavoro.

Se nell’eventuale discarica si accumuleranno le nuove ecoballe prodotte dopo la preparazione del sito, valutando una produzione di circa 2000 mc al giorno, si prevede che in circa 50 giorni la seconda discarica sarà colmata. Se invece saranno accumulate le ecoballe già giacenti in altri siti, il colmamento avverrebbe in qualche settimana. Se l’accumulo di rifiuti imballati avverrà nel periodo invernale-primaverile tipicamente piovoso, l’acqua che attraverserà i rifiuti si trasformerà in percolato inquinante. Com'è noto, i rifiuti non adeguatamente sigillati richiamano i predatori volatili come i gabbiani. La probabile concentrazione di stormi di volatili nei pressi dell’aeroporto rappresenterebbe un grave inconveniente per la sicurezza degli aerei, come già verificato in altri aeroporti italiani. Un eventuale incendio delle ecoballe provocherebbe la dispersione di fumo sulla pista dell’aeroporto con seri e gravi inconvenienti per le attività aeroportuali.

Un elemento fondamentale per valutare l’impatto ambientale della discarica è rappresentato dalla conoscenza e valutazione del progetto dell’intervento che si intende realizzare: cosa si intende fare, quali problemi sono stati valutati affinché l’intervento non danneggi l’ambiente naturale e antropizzato, come si intende operare, per quanto tempo durerebbe la lavorazione e per quanto tempo rimarrebbero accumulati i rifiuti, chi e come realizzerebbe i lavori, chi garantirebbe la perfetta esecuzione, chi garantisce i cittadini.

In conclusione, allo stato attuale delle conoscenze ambientali, si intuisce che la preparazione del sito durerebbe alcuni mesi e il suo colmamento da qualche settimana a circa 50 giorni. Si può affermare che le discariche di materiale inquinante in siti a fossa rappresenta una garanzia di sicuro inquinamento del sottosuolo e della falda.

Già in questa fase si può affermare che il sito, illustrato nelle figure seguenti, non si presenta idoneo alla realizzazione di una discarica che non inquini, non danneggi l’ambiente antropizzato e le attività che si svolgono a poche centinaia di metri di distanza. L’analisi del progetto di discarica di ecoballe inquinanti potrà consentire di valutare più dettagliatamente gli impatti sull’ambiente.

Prof. Franco Ortolani













mercoledì 7 novembre 2007

Il caso Vigliena: i commenti

Dopo la pubblicazione sul nostro blog, il 12 settembre 2007, del caso Vigliena, abbiamo ricevuto il commento di Mirko Morini, appartenente ai laici socialisti liberali radicali, e la risposta di Salvatore Morriale, presidente del comitato civico di S. Giovanni.
Riportiamo di seguito i due interventi:

Commento di Mirko Morini

Se la potenza della vecchia centrale termoelettrica è pari a quella nuova a ciclo combinato si ha un notevole miglioramento della qualità dell'aria solo a seguito dell'incremento di rendimento che un ciclo combinato garantisce rispetto ad un ciclo a vapore.

P.S. Armaroli non è professore (ma ricercatore al CNR su temi che nulla hanno a che fare con l'energia e l'ambiente) e i suoi scritti su Chimica e Industria contengono molti errori ed arrivano a conclusioni sbagliate.

Mirko Morini

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Replica di Salvatore Morriale

In replica a quanto scritto dal dott. Morini appaiono necessarie alcune puntualizzazioni.

1) Nel progetto presentato dalla società proponente non c’è nessun riferimento alla quantità di gas naturale che brucerà nel nuovo impianto. Per questo motivo non si può sostenere semplicisticamente che avremo un sicuro miglioramento della qualità dell’aria. Va rilevato che nel 2006 già si sono registrati 70 sforamenti del PM10 nell’area oggetto dell’intervento; ed anche per il 2007 si registra un trend analogo.
Con l’entrata in funzione della nuova centrale ci sarà un ulteriore incremento delle polveri sottili ed ultrasottili. Queste ultime, ad oggi, non sono ancora misurate. Infatti, le nanoparticelle (dette pm 0,1) emesse dalla combustione della futura centrale di Vigliena sono più pericolose per la salute umana delle particelle più grandi, le pm 10, poiché non esistono centraline in grado di registrarle e i filtri dei camini non possono bloccarle.
Sulla nocività delle polveri ultrasottili, il prof. GIUSEPPE COMELLA (Direttore del Dipartimento di Terapia Medica, Istituto Nazionale Tumori di Napoli "G. Pascale") ha dichiarato - in tutte le sedi - che esse sono in grado di causare patologie tumorali. Il dott. Giuseppe Comella, primario oncologo, è stato inserito dalla National Library of medicine di Bethesda nelle prime due posizioni della classifica dei ricercatori italiani.
Egli ha chiaramente spiegato che le particelle pm 0,1, essendo più piccole dei virus, sono estremamente pericolose perché non irritano il sistema respiratorio, come le pm 10 o le 2,5, ma perché possono entrare, attraverso la respirazione, nel corpo umano, superare i bronchioli, passare nel sangue e, infine, entrare in qualunque cellula.
Essendo uguali a un virus, possono andare a mettersi nel Dna e creare la mutazione.Non ci sono filtri capaci di bloccarle, poiché fuoriescono dai camini sotto forma di vapore. Nell’aria il vapore si ricondensa, la particella si riforma e cade a ombrello, potendo arrivare tranquillamente fino a trenta chilometri e oltre in presenza di venti.

2) Lungo il litorale di San Giovanni a Teduccio avremo, oltre alla centrale a turbogas, il nuovo Terminale Contenitori di Napoli Levante.
L’ente promotore ha già dichiarato che, per la movimentazione dei container, circoleranno 300 camion ogni ora, ininterrottamente nell’arco delle 24 ore. È evidente che tale attività determinerà anch’essa un gravissimo inquinamento.
Si evidenzia perciò che è più che mai appropriato procedere all’effettuazione della Valutazione Ambientale Strategica (VAS) per verificare la coerenza delle proposte programmatiche e pianificatorie, di tutte le opere, con gli obiettivi di sostenibilità ambientale.

3) Un’ultima considerazione riguarda il postum sciptum. Effettivamente il dott. Nicola Armaroli non dispone della qualifica di professore, bensì quella di scienziato. Ecco perché, a nostro avviso, è pienamente abilitato a discutere del tema dell’inquinamento atmosferico prodotto dai processi fotochimici. Sulla attendibilità dei suoi studi esprimiamo tutto il nostro apprezzamento, poiché oltre a fornire i suoi dati, propone quelli della più recente letteratura corrente.
Per quello che concerne le valutazioni espresse dal dott. Mirko Morini possiamo solo rilevare che sono troppo gracili per essere prese in considerazione.

Salvatore Morriale del comitato civico di S. Giovanni
ccsangiovanni@alice.it

Analisi della situazione politica della Gioventù Federalista Europea

Il Consiglio europeo di Giugno a Bruxelles ed il successivo di Lisbona hanno posto fine al processo costituente, approvando un nuovo testo che, da un lato, mantiene buona parte delle riforme introdotte dal Trattato che istituisce una Costituzione europea, dall’altro, ha messo da parte forse l’elemento più importante: lo spirito costituente del testo.

La situazione che stiamo vivendo è per certi versi simile a quella del dopo Nizza: un trattato fallimentare che non dà un governo democratico all’Europa. La differenza fondamentale è che allora c’era delusione per il risultato della Conferenza Intergovernativa ed il fallimento di questo metodo era sotto gli occhi di tutti (la Convenzione europea era in quel momento dietro l’angolo e sarebbe stata a breve istituita), oggi il metodo della Conferenza Intergovernativa sembra aver soddisfatto tutti a parte i federalisti. Al di là di alcuni progressi il Reform Treaty non sarà in grado di risolvere il problema del deficit democratico e della debolezza dell’Europa sulla scena mondiale.

Le contraddizioni non risolte rimangono dunque all’ordine del giorno e si ripresenteranno con ancor più urgenza assieme alla necessità di una Costituzione democratica e federale. Non è infatti un caso che già si levino le voci di alcuni governi che chiedono che un gruppo di saggi cominci a pensare come dovrà funzionare l’Europa nel 2020.

E’ chiaro però che non è accettabile lasciare le riflessioni sull’Europa ad un ristretto gruppo di saggi o ad una Conferenza Intergovernativa, questi metodi non fanno che aumentare la distanza tra le istituzioni europee ed i cittadini, scoraggiano il crearsi di un vero dibattito europeo sui temi europei e danno adito all’euroscetticismo. In questo contesto non è compito dei giovani federalisti fare una campagna a sostegno di un Trattato di Riforma che mette una pietra sopra al processo costituente. La GFE dovrà piuttosto, come abbiamo cominciato a fare in occasione del Comitato Federale di Ventotene, iniziare a pensare e ad agire in funzione di un rilancio del processo costituente, sia che il Trattato venga ratificato, sia che la ratifica fallisca per il diritto di veto di qualche stato.

In vista delle elezioni del Parlamento europeo del 2009 la GFE dovrà essere attiva nel dibattito politico supportando l’idea di una Governo Federale per l’Europa e indicando fin da subito alcuni punti, che andranno poi articolati, di un’agenda politica per il governo europeo:

- una riforma istituzionale che preveda una Costituzione Federale ratificata da un Referendum europeo;

- una politica economica capace di stimolare gli investimenti e la crescita;

- una politica ambientale ambiziosa che ponga il continente europeo all’avanguardia nel mondo per quanto riguarda gli standard di qualità dell’ambiente e della vita;

- una politica estera unica che sia in grado di dare all’Unione Europea un ruolo di pacificatore mondiale, capace di affrontare il crescente divario tra i ricchi ed i poveri nel mondo;

- una riforma delle Nazioni Unite che trasformi l’ONU nell’organizzazione che rappresenta le grandi regioni del mondo e dove l’Europa sieda con un solo seggio nel Consiglio di Sicurezza.

A partire da subito e fino alle elezioni del 2009 i federalisti potranno esprimere le loro idee e chiedere ai partiti politici di presentare il loro candidato alla presidenza della Commissione Europea sulla base di questo programma di governo. La GFE potrà discutere questi punti dell’agenda di governo con le altre organizzazioni della società civile e le altre forze politiche smascherando l’illusione che quanto ottenuto a Lisbona sia sufficiente per affrontare con efficacia le sfide che l’Europa ha davanti. L’apporto delle altre organizzazioni, come abbiamo sperimentato nella Campagna per il referendum europeo, è fondamentale per avere successo nella richiesta di una Costituzione europea.

Il rilancio del processo costituente non potrà prescindere dalla presenza di un vasto fronte di forze politiche e organizzazioni che rivendichino il diritto di esprimersi sul futuro dell’Europa. L’alternativa è un ulteriore fallimento intergovernativo. Per questo in tale contesto rimane fondamentale il problema della ratifica. La stessa Convenzione si era posta il problema del referendum europeo e non appena questo è uscito dai lavori della Convenzione con esso ne sono uscite le idee più innovative e sono stati fatti notevoli passi indietro. Noi dobbiamo chiedere un’iniziativa costituente con la consapevolezza che se non rompiamo sul metodo di ratifica si rivelerà ancora una volta un fallimento. Nella prospettiva di creare un network di forze che sostengano il rilancio di un’iniziativa costituente e di tenere ferma l’idea della necessità di modificare il metodo di ratifica il motto che ha accompagnato la Campagna per un Referendum europeo rimane ancora il punto centrale “Let the European People Decide”, ovvero basta all’unanimità dei governi e sì alla maggioranza dei cittadini.

Sulla base dell’azione legata alle idee per un governo europeo possiamo dunque mettere in campo una serie di iniziative che siano scollegate dalla contingenza del periodo di ratifica, valide prima e dopo le elezioni del 2009, che ci pongono nella prospettiva di una rilancio dell’iniziativa costituente sostenuta da un vasto fronte di forze politiche e della società civile e ci diano la capacità di tornare a parlare con i cittadini europei nelle piazze.

La sfida per un’organizzazione piccola come la nostra è ancora una volta immensa. Ma se sapremo articolare bene le nostre idee esse ci daranno la forza che ha sempre permesso al nostro Movimento di essere la punta più avanzata della politica europea.

GFE Gioventù Federalista Europea
Segretario Generale
Massimo Contri

lunedì 5 novembre 2007

Lo spoil system? Meglio abolirlo!

Con il termine “spoil system” si suole indicare il meccanismo di nomina della dirigenza nella pubblica amministrazione, caratterizzato dalla fiduciarietà e dalla temporaneità degli incarichi dirigenziali che decadono automaticamente con il rinnovo degli organi politici.

Il difficile rapporto tra politica e amministrazione si presenta come tema di incredibile attualità, connotato da notevoli contraddizioni a seguito del nuovo impianto normativo della dirigenza pubblica troppo spesso palesemente confliggente con svariati principi costituzionali in materia di pubblica amministrazione: uno su tutti quello di imparzialità.

Contraddizioni ed incongruenze che hanno portato parte della dottrina a fornire un quadro più che mai critico del sistema. Ma non solo la dottrina ha fatto sentire la propria voce.

La Corte costituzionale, infatti, con due recenti sentenze, apre una serie di interrogativi circa la legittimità di norme, sia statali che regionali, che regolano l’attuale sistema di spoglio della dirigenza.

Con la prima (sentenza n. 103 del 23 marzo 2007) la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 comma 7 della legge n. 145/2002 (c.d. legge Frattini) laddove prevede la cessazione ex lege una tantum di tutti gli incarichi di livello dirigenziale generale dello Stato, a partire dal sessantesimo giorno dalla data di entrata in vigore della legge medesima.

La seconda sentenza (n. 104 del 23 marzo 2007) si pronuncia sulla legittimità costituzionale di diverse leggi regionali, come alcune leggi della Regione Lazio circa la decadenza automatica dei Direttori generali delle Aziende sanitarie locali, una legge della Regione Sicilia che stabilisce che gli incarichi dirigenziali, diversi da quelli di dirigenti generali, possono essere revocati, modificati e rinnovati entro novanta giorni dall’insediamento del dirigente generale.

Dette censure di illegittimità palesano una profonda e seria preoccupazione per gli effetti di “precarizzazione” dei dirigenti e di possibile debolezza e dipendenza degli stessi dal potere politico.

Aldilà delle singole vicende processuali che hanno portato alle pronunce della Corte, particolarmente interessanti appaiono alcuni passi delle motivazioni addotte.

In particolare, nel dichiarare la illegittimità costituzionale dell’art. 96 L.R. Sicilia n. 2/2002; del combinato disposto dell’art. 55 co. 4 L.R. Lazio n. 1/2004 e art. 71 co. 1, 3 e 4 lett. a) L.R. Lazio n. 9/2005; del combinato disposto dell’art. 53 co. 2 e/o dell’art. 55 co. 4 della L.R. Lazio n. 1/2004 e dell’art. 71 co. 1, 3 e 4 lett. a) della L.R. Lazio n. 9/2005, dell’art. 43 co. 1 e 2 L.R. Lazio n. 4/2006 (sic!), la Corte afferma che il principio di imparzialità stabilito dall’art. 97 della Costituzione – unito quasi in endiadi con quello di legalità e di buon andamento dell’azione amministrativa – costituisce un valore essenziale cui deve uniformarsi, in tutte le sue diverse articolazioni, l’organizzazione dei pubblici uffici.

Principio, peraltro, già enunciato nella sentenza n. 453 del 1990.

Inoltre, la Corte ha sottolineato che “il principio di imparzialità si riflette immediatamente in altre norme costituzionali, quali l’art. 51 (tutti i cittadini possono accedere agli uffici pubblici in condizioni di uguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge) e l’art. 98 (i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione) della Costituzione, attraverso cui si mira a garantire l’amministrazione pubblica ed i suoi dipendenti da influenze politiche, o comunque, di parte, in relazione al complesso delle fasi concernenti l’impiego pubblico (accesso all’ufficio e svolgimento della carriera)”. Si leggano, a tale proposito, le parole del relatore nella seconda sottocommissione dell’Assemblea costituente nel testo che diventerà l’art. 97 della Costituzione: "La necessità di includere nella Costituzione alcune norme riguardanti la p.a. si riporta all’esigenza di assicurare ai funzionari alcune garanzie per sottrarli all’influenza dei partiti politici. Lo sforzo di una Costituzione democratica, oggi che al potere si alternano i partiti, deve tendere a garantire una certa indipendenza ai funzionari dello Stato, per avere un’amministrazione obiettiva della cosa pubblica e non un’amministrazione dei partiti".

La Consulta ha, poi, affermato che gli artt. 97 e 98 Cost. sono corollario dell’imparzialità, in cui si esprime la distinzione fra politica e amministrazione, tra l’azione del governo – che di regola appare legata all’indirizzo dettato dalla maggioranza politica – a quello dell’amministrazione che, “nell’attuazione dell’indirizzo politico della maggioranza, è vincolata, invece, ad agire senza distinzione di parti politiche, al fine del perseguimento delle finalità pubbliche obiettivate dall’ordinamento.”

Non meno importante è la garanzia del giusto procedimento che deve essere necessariamente riconosciuta al dirigente “vittima” del sistema di spoglio, specie dopo l’entrata in vigore della legge n. 241/1990 così come modificata dalla legge n. 15/2005, per cui il destinatario dell’atto deve essere informato dell’avvio del procedimento, avere la possibilità di intervenire a propria difesa, ottenere un provvedimento motivato, adire un giudice.

La dipendenza funzionale del dirigente non può (e non deve) diventare dipendenza politica. Il dirigente è sottoposto alle direttive del vertice politico e al suo giudizio ed, in seguito a questo, può essere allontanato. Ma non può (e non deve) essere messo in condizioni di precarietà derivanti da una possibile decadenza automatica senza la garanzia del giusto procedimento!

Stante la portata delle citate pronunce non ci si può non interrogare circa il futuro di legittimità per le norme di analogo contenuto, presenti tuttora nel vigente ordinamento.

Viene in mente, in primo luogo, la singolare disciplina normativa dei segretari comunali e provinciali.

Detta figura è assoggettata ad uno spoil system per nulla coerente con i principi costituzionali soprarichiamati e per nulla confacente alle caratteristiche professionali ed alla terzietà del ruolo obiettivati dall’ordinamento.

Ricordiamo che ai sensi dell’art. 99 D. Lgs. 267/2000: “Il sindaco e il presidente della provincia nominano il segretario, che dipende funzionalmente dal capo dell’amministrazione, scegliendolo tra gli iscritti all’albo di cui all’art. 98. Salvo quanto disposto dall’art. 100, la nomina ha durata corrispondente a quella del mandato del sindaco o del presidente della provincia che lo ha nominato. Il segretario cessa automaticamente dall’incarico con la cessazione del mandato del sindaco e del presidente della provincia, continuando ad esercitare le funzioni sino alla nomina del nuovo segretario. La nomina è disposta non prima di sessanta giorni e non oltre centoventi giorni dalla data di insediamento del sindaco e del presidente della provincia, decorsi i quali il segretario è confermato”.

Orbene, a mio modesto avviso, quanto affermato dalla Corte costituzionale con riguardo alla dirigenza generale con le cennate pronunce, vale, mutatis mutandis, anche per i segretari comunali e provinciali.

Le motivazioni di una tale similitudine sono diverse:

1) il meccanismo di nomina del segretario comunale è completamente slegato – e non può essere altrimenti – da qualsiasi condivisione dell’indirizzo politico espresso dalla maggioranza, in quanto il segretario comunale è – e deve continuare ad essere – organo terzo e neutro per il ruolo dallo stesso rivestito. A ciò aggiungasi che il meccanismo di reclutamento dei segretari comunali avviene per concorso pubblico, così come la progressione in carriera è condizionata dal superamento di appositi corsi-concorsi (cc.dd. corsi SPES e SEFA);

2) come buona parte della dottrina ritiene, a seguito delle cennate pronunce della corte, la nomina intuitu personae e la decadenza automatica del dirigente a seguito del rinnovo degli organi politici possono riguardare solo gli incarichi dei diretti collaboratori dell’organo politico, ma non di quella dirigenza, invece, “i cui compiti non sono strettamente connessi all’indirizzo politico e per la quale, al contrario, il ricorso a criteri di selezione che privilegino, sia pure indirettamente, la lealtà politica potrebbe mettere capo a pratiche lottizzatorie, in contrasto con l’obiettivo della separazione fra indirizzo politico e gestione amministrativa, che ispira la riforma della disciplina contenuta nel D. Lgs. 165/2001.”

3) anche una volta nominato, il segretario comunale è istituzionalmente collocato in posizione di terzietà nei confronti dell’apparato politico, in quanto svolge compiti di collaborazione e funzioni di assistenza giuridico-amministrativa nei confronti degli organi dell’ente in ordine alla conformità dell’azione amministrativa alle leggi, allo statuto ed ai regolamenti;

4) molteplici altre funzioni assegnate dall’ordinamento al segretario comunale e provinciale presuppongono che lo stesso sia chiamato ad agire in posizione di terzietà e di assoluta imparzialità. Si pensi alle funzioni consultive, referenti e di assistenza alle riunioni del consiglio e della giunta di cui detto funzionario deve curare la verbalizzazione, attività per definizione “neutra”. Si pensi, altresì, all’attività rogatoria e di autenticazione delle scritture private e degli atti unilaterali nell’interesse dell’Ente, attività di rango notarile, che nulla ha a che vedere con la condivisione di alcun indirizzo politico, ma che presuppone una competenza specifica e altamente qualificata.
Senza contare che il segretario comunale è chiamato ad agire in posizione di terzietà rispetto all’organo politico che lo ha nominato anche quando è la legislazione “speciale” ad attribuirgli determinati compiti: si pensi all’attività di levata dei protesti cambiari, di segnalazione degli abusi edilizi e di autentica delle sottoscrizioni, tanto per citare degli esempi;

5) nell’attuale sistema si assiste al mancato rispetto del principio del giusto procedimento che, nell’ipotesi di decadenza automatica prevista dall’art. 99 D. Lgs. 267/2000, priva il segretario comunale delle più elementari garanzie dettate dalla legge circa l’obbligo di motivazione del provvedimento di mancata conferma (anzi manca addirittura il provvedimento!), caratterizzato da un ingeneroso e incostituzionale(!!!) recesso ad nutum che ha ingenerato barbare pratiche lottizzatorie e o di clientelarismo politico nella nomina dei nuovi segretari, rimanendo privo, il segretario uscente, di qualsiasi mezzo di tutela e di riconoscimento del buon lavoro svolto, con grave lesione dei principi di tutela della dignità del lavoratore e di continuità dell’azione amministrativa.

Per tutte le motivazioni sopra esposte ci si augura che i segretari comunali e provinciali non siano più sottoposti alla decadenza automatica al variare della maggioranza politica, istituto che non si addice al ruolo ed alle funzioni svolte da questa antica e preziosa categoria.

Dott. Raffaele QUINDICI
Segretario comunale di Taurano (AV)

Il Mezzogiorno e i Fondi dell'Unione Europea


1. La politica di Coesione

La politica Europea di Coesione fornisce un fondamentale contributo alla ripresa della competitività e della produttività dei Paesi membri. In particolare nel Mezzogiorno d’Italia contribuisce alla riduzione della persistente sottoutilizzazione delle risorse, attraverso il miglioramento dei servizi e delle competenze, con l’introduzione di una maggiore concorrenza nei mercati, nonché di incentivi appropriati per favorire l’innovazione pubblica e privata.

Per raggiungere questi risultati nei prossimi anni, la politica regionale, dovrà trarre lezioni dall’esperienza realizzata nel ciclo di programmazione 2000 – 2006 e perseguire le priorità strategiche che dovranno essere stabilite.

In questo dossier cercheremo di comprendere quali sono stati i risultati della politica di coesione nel Mezzogiorno ed in particolare nella Regione Campania, provando a dare qualche suggerimento per evitare di commettere gli errori commessi in passato.

Abbiamo fatto un grosso sforzo per utilizzare un linguaggio quanto più possibile semplice e accessibile anche a chi non è un esperto della materia, la quale è però complessa e di non immediata comprensibilità. Abbiamo volutamente marcato e talvolta ripetuto dei concetti proprio per farli assorbire anche al lettore più distratto.

Vogliamo subito ricordare che nel 2006 si è concluso il ciclo di programmazione 2000 - 2006, conosciuto anche come Agenda 2000. Ad esso segue la nuova fase di programmazione della politica regionale dell’Unione Europea per il periodo 2007-2013.

Il nostro discorso partirà riferendosi alla politica di coesione europea nella sua complessità, soffermandosi poi sull’utilizzazione che si è fatta dei fondi comunitari del ciclo di programma 2000 - 2006, in particolare per quanto riguarda la Regione Campania. Anticipando le conclusioni, andremo sostanzialmente a vedere quanto segue:

1. la Regione Campania non ha utilizzato tutti i fondi messi a disposizione dalla Unione Europea perdendo così numerosi milioni di euro, a causa di una errata programmazione e pianificazione ed in particolare della mancanza di una vision politica e progettuale di sviluppo a lungo termine;

2. la Regione Campania pur utilizzando e spendendo i fondi, non li ha valorizzati, in quanto il grosso della spesa è andato in progetti fini a se stessi, che non hanno portato lo sviluppo che è alla base della filosofia dell’azione politica dell’UE;

3 la crescita economica della Regione Campania dal 2000 ad oggi è stata praticamente pari a zero, nonostante che l’importo dei fondi messi a disposizione sia stato enorme. La nostra regione è ancora una locomotiva a vapore, mentre in altre zone d’Europa (anche quelle che hanno beneficiato dell’allargamento) sono già all’alta velocità.

Procediamo con ordine e andiamo quindi a vedere che cos’è la politica di coesione.

2. La situazione ed il quadro di riferimento

La politica di Coesione europea si fonda sul principio cardine della sussidiarietà, in base al quale l’Unione ha una competenza concorrente, ovvero condivisa con gli Stati membri, in materia di politica sociale, di ricerca e sviluppo tecnologico e ambientale.

La politica di Coesione economica e sociale nasce l’1 luglio 1987, giorno in cui entra in vigore l’Atto Unico Europeo, con l’esigenza di rispondere alla necessità di rilanciare lo sviluppo delle zone economicamente più deboli e per fronteggiare i problemi di natura strutturale presenti in larga parte dei territori dell’Unione.

Il termine «strutturale» viene usato in quanto definisce gli strumenti con cui concretamente vengono sviluppate le politiche regionali: i Fondi Strutturali, cioè le risorse stanziate dal bilancio dell’UE per finanziare, assieme al Fondo di Coesione (in Paesi membri in cui le condizioni economiche ne consentono l’utilizzo), la politica regionale.

Per ritardo di natura strutturale ci si riferisce a quei problemi connessi all’incapacità di adeguamento delle strutture locali ai mutamenti del contesto economico e sociale comunitario. La politica di Coesione si pone, dunque, come obiettivo prioritario il superamento di tali ritardi tramite strumenti solidaristici, con funzione non solo redistributiva ma anche allocativa.

In effetti, la politica regionale è lo strumento attraverso cui l’UE traduce le sue priorità politiche in risultati concreti ed è infatti caratterizzata da una serie di elementi che ne contraddistinguono il valore aggiunto:

1. il co-finanziamento (cioè il fatto che le risorse dell’UE si sommano a quelle nazionali), che contribuisce allo sviluppo di partenariati pubblico-privati e aiuta gli investimenti anche in periodi di maggiore austerità economica;

2. il carattere pluriennale della programmazione, che rende possibile la pianificazione a lungo termine altrimenti difficilmente realizzabile a livello nazionale;

3. l’effetto governance, che implica lo sviluppo, da un lato, della capacità di iniziativa e di responsabilità a tutti i livelli di governo e degli attori economici e sociali, dall’altro di una nuova prassi di governance basata sul partenariato, sulla condivisione degli obiettivi e dell’allocazione finanziaria;

4. l’effetto a catena sulle altre politiche europee e cioè lo stimolo alle politiche dell’occupazione, dello sviluppo rurale, delle reti transeuropee, della società dell’informazione, degli appalti pubblici, dello sviluppo sostenibile, contribuendo al miglior coordinamento e alla realizzazione degli obiettivi della competitività e dell’occupazione.


3. La suddivisione dei fondi 2007 - 2013

Come si è già accennato, nel 2006 si è concluso il ciclo di programmazione 2000 - 2006. Ad esso segue la nuova fase di programmazione della politica regionale dell’Unione per il periodo 2007 - 2013. Nel contempo, fino a tutto il 2008 sarà possibile continuare a spendere le risorse della programmazione 2000 - 2006, che, per effetto della clausola chiamata dell’“n+2”, che regola il disimpegno automatico di spesa, decadranno al termine dei due anni successivi agli ultimi stanziamenti.


Gli accordi raggiunti il 4 aprile 2006 tra il Parlamento Europeo, il Consiglio Europeo e la Commissione della UE sulle prospettive finanziarie dell’Unione Europea per il periodo 2007 - 2013, hanno portato alla ripartizione delle risorse della politica di Coesione come segue: la quota più importante, il 78%, verrà destinata come nella precedente programmazione, alle regioni Obiettivo 1, il 18% all’Obiettivo 2 ed il restante 4% sarà destinato alla cooperazione transfrontaliera delle regioni Obiettivo 3.




4. I nuovi Obiettivi 2007 - 2013

Obiettivo 1: Convergenza. Faranno parte di questo obiettivo le Regioni il cui PIL risulti inferiore al 75% del PIL europeo. Mantenendo questa soglia e prendendo in considerazione nuove aree con un livello di sviluppo inferiore rispetto a quelle dell’Europa a 15 si verificherà l’uscita statistica di alcune delle attuali Regioni Obiettivo 1 dai finanziamenti di Bruxelles. Saranno complessivamente 20 le Regioni escluse (nel caso dell’Italia, la Basilicata e Sardegna): per queste Regioni è previsto il regime di sostegno transitorio (phasing out per quelle che escono dall’Obiettivo Convergenza per motivi statistici: è il caso della Basilicata, e phasing in nell’Obiettivo Competitività per quelle che escono per una crescita del PIL). Tra le Regioni che non saranno più eleggibili alcune hanno effettivamente raggiunto un livello di sviluppo che comunque le avrebbe fatte uscire dal parametro del 75%: è il caso della Sardegna, ma altre risulteranno estromesse dai finanziamenti di Bruxelles semplicemente per ragioni statistiche, come nel caso della Basilicata;

Obiettivo 2: Competitività regionale e occupazione. Secondo il nuovo impianto della politica di coesione, in questo gruppo verranno ricomprese tutte le regioni escluse dall’obiettivo Convergenza, accorpando sia le politiche di riconversione industriale (il vecchio Obiettivo 2), sia quelle di riqualificazione delle risorse umane (il precedente Obiettivo 3);

Obiettivo 3: Cooperazione territoriale europea. In questo gruppo verranno ricomprese le aree eleggibili per programmi di cooperazione transfrontaliera e transregionale, riallacciandosi all’esperienza, fatta di luci ed ombre, del programma di iniziativa comunitaria Interreg, a cui va aggiunto un ulteriore strumento dedicato alla politica di prossimità, cioè per la cooperazione con i Paesi del Sud del Mediterraneo e quelli dell’area balcanica.

I Fondi della Coesione che spetteranno all’Italia, per il periodo 2007 – 2013, ammontano ad un totale di 25,624 miliardi di Euro e sono ripartiti come segue:

• 19,255 miliardi di Euro per l’Obiettivo 1 “Convergenza”;
• 5,641 miliardi di Euro per l’Obiettivo 2 “Competitività Regionale e Occupazione”.

Nell’ambito dell’Obiettivo “Convergenza”, 18,867 miliardi di euro spetteranno a Calabria, Campania, Puglia, Sicilia, mentre 0,388 miliardi di euro toccheranno alla Basilicata. Per la Competitività la Sardegna conquista 0,879 miliardi di euro mentre 4,762 miliardi di Euro andranno a tutte le altre Regioni.

Sul totale del bilancio comunitario, la politica di coesione rappresenta circa il 35%, mentre il 40% è dedicato alla politica agricola comune e il 10% è dedicato alla ricerca e competitività. Il restante 15% va a finanziare le spese necessarie al funzionamento degli Organismi ed alle altre politiche (per esempio la cooperazione allo sviluppo).

L’Obiettivo 1 interessa quindi le aree del Mezzogiorno d’Italia ed è lo strumento più importante per la promozione della crescita economica, in quanto aumenta la competitività di lungo periodo attraverso l’accesso pieno e libero al lavoro, la tutela del patrimonio ambientale e le politiche per le pari opportunità.

5. Il Quadro Comunitario di Sostegno (QCS) Obiettivo 1 nel periodo 2000 - 2006

La Ragioneria Generale dello Stato ha pubblicato il 31 agosto del 2007 un monitoraggio degli interventi effettuati nell’ambito del Quadro Comunitario di Sostegno (QCS) per l’ Obiettivo 1, relativo al periodo 2000 – 2006, da poco concluso.

VivaCampaniaViva ha studiato i contenuti della relazione, traendone alcune importanti conclusioni.

È innanzitutto necessario illustrare come avvengono i finanziamenti: il Quadro Comunitario di Sostegno (QCS) Obiettivo 1 ha definito le strategie e i budget per gli interventi, condivisi tra Autorità nazionali e Commissione Europea, indicando il quadro di massima entro cui collocare i Programmi Operativi.

I contributi che il QCS assegna sono suddivisi in 7 Assi Prioritari: Risorse Naturali, Risorse Culturali, Risorse Umane, Sistemi locali di sviluppo, Città, Reti e nodi di servizio, Assistenza tecnica per un totale, nel periodo 2000 – 2006, di circa 46 miliardi di euro.

Ognuno degli assi prioritari si estrinseca in 5 aspetti fondamentali: analisi dei bisogni e delle priorità, strategia, quantificazione degli obiettivi specifici, linee di intervento e criteri e indirizzi per l’attuazione.

Il budget totale di intervento di 46 miliardi di euro viene poi attuato in concreto attraverso l’utilizzazione di 4 Fondi Strutturali:

1. FESR (Fondo Europeo di Sviluppo Regionale), che mira a promuovere la coesione economica e sociale attraverso la correzione dei principali squilibri regionali e la partecipazione allo sviluppo e alla riconversione delle regioni, garantendo al tempo stesso una sinergia con gli interventi degli altri Fondi strutturali;

2. FSE (Fondo Sociale Europeo), il quale sostiene le priorità della Commissione per quanto riguarda la necessità di potenziare la coesione sociale, aumentare la produttività e la competitività e favorire la crescita economica e lo sviluppo sostenibile. In tale contesto, il FSE si prefigge di contribuire al potenziamento della coesione economica e sociale, migliorando i livelli e le possibilità di occupazione.

3. SFOP (Strumento Finanziario di Orientamento della Pesca), che mira a contribuire al conseguimento degli obiettivi della politica comune della pesca tramite interventi strutturali.

4. FEOGA (Fondo Europeo Agricolo/sezioni Orientamento e Garanzia), che è lo strumento finanziario della politica di sviluppo rurale.

I programmi di finanziamento stabiliti dai fondi vengono utilizzati attraverso 7 Programmi Operativi Regionali (POR, uno per ognuna delle Regioni ad Obiettivo 1, ovvero Sicilia, Sardegna, Molise, Calabria, Basilicata, Campania e Puglia) e 7 Programmi Operativi Nazionali (PON, per i seguenti settori di intervento: Pesca, Ricerca, Scuola per lo Sviluppo, Sicurezza, Sviluppo, Trasporti, Assistenza Tecnica e Azioni di Sistema) gestiti dalle amministrazioni centrali. Sono questi programmi che in concreto impegnano e spendono le risorse complessive (che, lo ricordiamo ancora, ammontano a 46 mld di euro) messe a disposizione dall’UE.

Lo studio effettuato dalla Ragioneria dello Stato indica, con delle tabelle, gli stati di attuazione finanziaria suddivisi per Assi di intervento, per Fondi e per Programmi Operativi (Regionali e Nazionali).

Per ognuna delle voci abbiamo cinque colonne di riferimento:

Nella prima è riportato il contributo totale dei finanziamenti messi a disposizione dalla Unione europea.
Nella seconda è riportato il budget impegnato in valore assoluto (cioè il costo complessivo dei progetti approvati).
Nella terza è riportata la somma di denaro già pagata dalla Unione europea (cioè quanto si è speso effettivamente, ovvero quanta parte della spesa impegnata è stata effettivamente già pagata).
Nella quarta è riportato il budget impegnato in valore percentuale rispetto al contributo totale.
Nella quinta è riportata la somma di denaro pagata in valore percentuale rispetto al contributo totale.

6. L’attuazione finanziaria del QCS Obiettivo 1 nel periodo 2000 - 2006

Dopo aver fatto queste necessarie premesse, andiamo a fare alcune considerazioni guardando ai dati.






Come si può vedere, il livello di attuazione complessivo - al 31/08/2007 - degli interventi comunitari nel Mezzogiorno è pari al 69,3% degli stanziamenti complessivi. In altre parole, nelle aree dell’Obiettivo 1 risultano essere stati spesi quasi 32 mld di euro, a fronte dei circa 45,7 mld di euro impegnati (il 99,4 % dell’intero budget messo a disposizione dal QCS).

Resterebbero quindi da spendere, sulla base del già enunciato principio dell’”n+2”, entro il 31 dicembre 2008 (data limite per l’erogazione dei fondi impegnati) circa 14 mld di euro.

Tra gli Assi Prioritari di intervento del Quadro Comunitario di Sostegno quello che manifesta la migliore performance attuativa è l’asse 6 “Reti e nodi di servizio” con pagamenti per oltre 7,7 mld di euro che rappresentano il 79,8 % del relativo contributo totale 2000-2006.

I PON, al 31/08/2007, hanno effettuato pagamenti per 11,8 mld di euro, ovvero 83,7% del contributo totale, mentre i programmi a titolarità regionale (POR) superano i 20 mld di euro spesa, pari al 63% della cifra totale a disposizione per il periodo di programmazione 2000 - 2006.

C’è da dire che i POR hanno comunque impegnato solo il 92,9% del totale delle somme a disposizione. Questo significa che circa 2,5 mld di euro sono stati perduti dalle 7 regioni del Mezzogiorno. In particolare il Molise e la Basilicata si segnalano in positivo per l’ottima performance sull’impegno di somme e anche per la spesa (primo il Molise con pagamenti pari al 78,7% del contributo totale, seguito dalla Basilicata al 68,6%), mentre la maglia nera della spesa va alla Sicilia (57,8%) seguita dalla Puglia (61,8%).

7. QCS obiettivo 1: attuazione finanziaria della Regione Campania per intervento al 31/08/2007





Come abbiamo visto, una delle tabelle incluse nello studio della Ragioneria dello Stato illustra l’attuazione finanziaria per i Programmi Operativi ed evidenzia chiaramente lo stato della spesa nelle varie regioni.

A questi dati ha fatto riferimento il Ministro Bersani che sollecitava le Regioni del Sud a spendere bene e velocemente i fondi a loro assegnati dalla Unione Europea per gli anni 2000 - 2006.

Sia Isaia Sales, che il dirigente della Regione Carlo Neri, nel rispondere agli attacchi ricevuti per non essersi attivati per raggiungere livelli di spesa più alti non hanno preso in considerazione questi dati che, invece, sono l’unico autorevole strumento per conoscere la situazione della spesa e dell’utilizzo dei fondi europei per lo sviluppo.

La tabella indica che la Regione Campania ha impegnato l’89,2% dei finanziamenti assegnati. Ha quindi lasciato inutilizzati circa 830 milioni di euro. Un’altra indicazione preziosa è che ad oggi sono stati spesi solo il 62,9% dei fondi disponibili, significa che entro e non oltre il prossimo anno dovrà spendere più di 2 mld di euro! Altrimenti, accanto alla cifra considerevole già perduta, verranno aggiunti altri finanziamenti non utilizzati.

A questo denaro si riferiva il Ministro Bersani nel sollecitare le Regioni Meridionali nello spendere i fondi loro assegnati.

Di fronte a queste considerazioni le risposte di Neri e Sales appaiono non fondate su certezze, ma supportate solo da posizioni strumentali in difesa della Giunta Regionale presieduta da Bassolino.

Esiste ad oggi un dato incontrovertibile: la Regione Campania, alla data attuale, non ha utilizzato circa 830 milioni di euro che le erano stati assegnati dall’Unione Europea.

Se la Regione riuscirà a spendere in un anno 2 mld di euro, il danno sarà ridotto al solo al denaro già perso e contabilizzato dalla Ragioneria Generale dello Stato e dalla Commissione Europea.

Nel frattempo come abbiamo visto è partito il nuovo programma di aiuti per il periodo 2007 – 2013, del quale si sa ben poco nella nostra Regione. Ancora una volta, le certezze sono che, per quanto riguarda l’anno in corso, non verranno spesi soldi sul nuovo programma, mentre non si hanno notizie sul bilancio del prossimo anno.

La preoccupazione di Bersani appare legittima, vista la evidente difficoltà di programmazione della spesa della Regione Campania che si posiziona al terzultimo posto tra le regioni del Sud, migliore solo della Sicilia e della Puglia.

È utile ricordare che i benefici che si possono ottenere dai finanziamenti europei possono essere maggiori se i fondi sono spesi nei tempi previsti dalla programmazione. Se i tempi si allungano, l’impatto sociale, economico e culturale del Piano Operativo Regionale, diminuisce ed i risultati sulla crescita sono inferiori a quelli attesi.

In Campania, dal 1989 si sono succeduti ben 5 Presidenti: Antonio Fantini, Giovanni Grasso, Antonio Rastrelli, Andrea Losco, Antonio Bassolino. Nessuno di loro è riuscito a portare a casa il risultato di impegnare e spendere l’intera somma dei finanziamenti assegnati.

Anche nel periodo precedente, dal 1994 al 1999 non furono spesi tutti i fondi assegnati. Allora fu raggiunta la percentuale dell’84,1% del totale assegnato, grazie soprattutto alla possibilità che il Ministro del Tesoro Ciampi, offrì alle Regioni Meridionali di utilizzare i progetti sponda, una particolare triangolazione con le misure nazionali di competenza del CIPE (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica), che permise l’utilizzo di consistenti parti di finanziamenti europei, che altrimenti sarebbero andati perduti.

Basta però guardare gli indicatori della crescita della nostra Regione per misurare lo scarso impatto sullo sviluppo che hanno registrato gli investimenti europei.

8. La Campania e i progetti sponda

C’è quindi da domandarsi, arrivati a questo punto, se i soldi impegnati o spesi dalla Regione sono il risultato di un’attività politica accorta e di una attenta programmazione. In realtà, le cifre relative ai Fondi Strutturali europei dicono che la Campania ha fatto ancora una volta un ricorso massiccio ai cosiddetti “progetti sponda”, vale a dire a progetti già finanziati e realizzati negli anni passati, che sono stati, per così dire, ripescati.

Con quest’artificio contabile la Regione si è messa al riparo dalle sanzioni che la Commissione europea adotta nei casi in cui le risorse europee sono poco utilizzate dagli enti pubblici destinatari. La più pesante delle conseguenze, per un ente assegnatario dei fondi strutturali il quale impegna e spende poco le somme assegnate, è il cosiddetto disimpegno, cioè la revoca dei fondi non utilizzati e la loro destinazione ad altre Regioni d’Europa che invece si sono comportate meglio, impegnando e spendendo per tempo una percentuale più consistente di quelle stesse risorse.

Quella dei progetti sponda è comunque una procedura che sotto il profilo economico presenta scarsi aspetti positivi e molti aspetti negativi.

I “progetti coerenti” sono peraltro legittimi purché siano davvero “coerenti” con gli obiettivi. Ma scorrendo l'elenco dei finanziamenti indicati come “coerenti” dalla Campania nella cosiddetta “fase 2” è possibile nutrire qualche dubbio. Non solo le iniziative sono moltissime, segno di frammentarietà d'azione, ma la lista contiene microinterventi che vanno dall'acquisto di una stampante alla riparazione di un marciapiede, come se la preoccupazione dell'ente fosse stata quella di raggiungere in ogni modo il tetto di spesa necessario per ottenere la premialità.

L’aspetto positivo sta nel fatto che, evitando la sanzione del disimpegno, la Campania è come se mettesse in un salvadanaio una quota consistente dei fondi strutturali in attesa che nuovi progetti già avviati arrivino a maturazione e possano essere finanziati con le somme accantonate.

Le conseguenze negative di quest’artificio contabile sono tuttavia preponderanti. In primo luogo, l’impatto economico dei progetti sponda è quasi irrilevante. Trattandosi di spese in gran parte già realizzate negli anni scorsi, i progetti sponda non apportano oggi alcun beneficio sensibile all’economia locale: i loro effetti sull’occupazione, sulla crescita del prodotto, sul miglioramento del contesto territoriale, si sono, infatti, per lo più già esauriti nel tempo.

Quest’aspetto è particolarmente rilevante nella situazione attuale: l’economia della Campania attraversa, infatti, un periodo di stagnazione, avrebbe quindi bisogno che gli investimenti economici l’aiutino ad uscir fuori dall’impasse in cui si trova e non si disperdano invece in mille rivoli. Il ricorso ai progetti sponda non incide sulla congiuntura attuale. Al più rappresenta una promessa che in futuro la Regione realizzerà altri progetti d’infrastrutture, pagherà altri incentivi alle imprese che intendono realizzare nuovi investimenti o favorirà negli anni a venire un aumento della produzione e dell’occupazione.

In secondo luogo, il ricorso ai progetti sponda è un indizio di parziale inadempienza della programmazione dei Fondi Strutturali: dice che la Regione, pur avendo a disposizione notevoli somme da impegnare e da spendere, in sette anni, dal 2000 al 2006, non ha fatto in tempo ad utilizzarle e si ripromette di farlo in seguito.

Non sono ben chiari i motivi di questa mediocre performance della programmazione regionale. Sarebbe bene che gli organi di governo e il Consiglio regionale avviassero una riflessione meditata sull’argomento, uscendo dalla facile propaganda finora usata dagli schieramenti politici contrapposti, divisi tra i sostenitori della Giunta pronti a giustificare e ad esaltare la programmazione in atto e i detrattori i quali dichiarano un giorno sì e l'altro pure il suo fallimento.

Ad un osservatore esterno tra i motivi principali del flop dei fondi strutturali in Campania paiono esservi alcuni difetti che si sono cumulati in questi sette anni: l’ambizione di disegnare progetti cosiddetti integrati, in cui erano presenti molteplici obiettivi di sviluppo locale, che coinvolgevano simultaneamente più soggetti e più attività; le procedure di esame e di approvazione dei singoli interventi, decisamente complicate e tortuose; la scarsa presenza tra i responsabili delle misure da realizzare di personale tecnicamente qualificato, specie di analisti economici.

In terzo luogo, la procedura contabile dei progetti sponda rischia d’essere ripetuta ancora in seguito. L’esperienza fatta in Campania mostra, infatti, che questo espediente è un vizio ricorrente. Come abbiamo visto fu già utilizzato per i fondi attribuiti alla Regione negli anni 1993-1999; è stato reiterato per i fondi assegnati alla Campania negli anni successivi, dal 2000 al 2006, rischia d’essere applicato ancora ai fondi del successivo settennio di programmazione, negli anni 2007 - 2013.

Si può dire insomma che i progetti sponda ne chiamano altri ancora, a meno che non si provveda per il futuro, ragionando su politiche di intervento ben fondate e realisticamente attuabili.

Per il 2007 - 2013 però alcune cose dovrebbero cambiare. In particolare la Commissione europea si è impegnata a rendere pubblici gli elenchi dei soggetti finanziati. Il che, ci si augura, costringerà forse gli enti utilizzatori delle risorse a una maggiore “coerenza”.

9. Il dossier della London School of Economics e della Vision & Value

Una ricerca durata 3 anni, lunga mille pagine e commissionata dal Governo Italiano, condotta da un team di economisti della London School of Economics e dalla società di consulenza Vision & Value è stata presentata nei giorni scorsi a Roma presso la sede del CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro). Tale studio ha lo scopo di valutare l’impatto che il Quadro Comunitario di Sostegno (QCS) 2000 - 2006 ha avuto sulle dinamiche di sviluppo delle Regioni del Mezzogiorno d’Italia.


Gli esiti sono impietosi: la ricerca afferma che, nonostante l’attuazione del QCS, quasi nulla è cambiato.


Il PIL ha viaggiato a rilento, il turismo è arretrato quanto a giorni medi di presenza di turisti; l’occupazione si è innalzata di poco. Tutti indicatori lontani dagli obiettivi fissati e dalle medie calcolate, da quelle meridionali a quelle europee.


Gli obiettivi fissati dal QCS non sono stati raggiunti in quanto, si legge, non sono diventati ancora elementi centrali nell’agenda politica delle amministrazioni locali. Queste, non avendo obiettivi precisi, hanno disperso i fondi comunitari in mille rivoli, finanziando spesso opere poco utili.


In sei anni sono stati spesi 32 miliardi di euro, ma i risultati sono zero. Si tratta di una cifra di circa 2 volte e mezzo più grande della manovra sul Welfare, che il 20 ottobre ha portato in piazza circa 1 milione di persone.


L’immagine che viene fuori è quella di una sostanziale “autarchia” del Meridione d’Italia, spiega Francesco Grillo di Vision & Value, uno dei ricercatori che ha lavorato al progetto.


Il Sud appare “tagliato fuori dalla globalizzazione”, completamente chiuso ai flussi degli investimenti, almeno a livello legale. “Per il livello illegale il discorso”, afferma il dottor Grillo, “e’ ben diverso, ma non rientra tra gli oggetti della ricerca”. E che fine hanno fatto quella montagna di soldi? “Dispersi in mille rivoli, in interventi che non hanno spesso la massa critica per raggiungere i risultati attesi o non li hanno prodotti affatto, conseguenza di processi che sono gestiti quasi esclusivamente dalle amministrazioni pubbliche”.


Grillo, quindi, richiama “il vecchio tema dell’arretratezza del Sud“. “E’ vero, talmente vero che vengono a studiarci da tutto il Mondo. Un divario inscalfibile da 150 anni che rappresenta un caso unico a livello planetario. Peraltro, la situazione non è la stessa per tutte le regioni e forse non è corretto parlare del Mezzogiorno come di un unico blocco, perché le istituzioni non sono tutte uguali. Penso alla Basilicata o ad alcuni distretti della Campania o della Puglia”.


Grillo quindi passa ai numeri, cominciando da “l’indicatore principe”, come scrivono gli estensori della ricerca nelle loro conclusioni: il tasso di crescita reale (ovvero al netto dell’inflazione) del prodotto interno lordo. L’obiettivo, aggiornato nel 2004, era del 3,9%. Il risultato neppure un terzo, 1,23%. Lontano anche dall’1,96% della media della UE, ma almeno in linea con il fiacco 1,24% fatto registrare nello stesso periodo dalle regioni del Centro Nord. “La musica - prosegue Grillo - non cambia guardando altri dati. Il tasso di occupazione, ad esempio”.


Nelle regioni obiettivo 1, quelle destinatarie dei fondi strutturali - Campania, Puglia, Abruzzo, Molise, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna – il tasso di occupazione e’ passato dal 43,0% del 1999 al 45,9% del 2006. Solo che nel frattempo – afferma ancora Grillo - nel Centro Nord è cresciuta, senza i fondi strutturali, quasi il doppio, passando dal 59,4% al 65%.


Proprio la situazione del mondo del lavoro esce in modo particolarmente sconfortante dalla ricerca. La somma di occupati e disoccupati in cerca di lavoro, in termini statistici, si chiama “tasso di partecipazione al mondo del lavoro”. Erano il 53,9% della popolazione all’inizio del millennio e adesso sono ancora meno, il 52,6%. La media italiana è del 63%.


E il lavoro nero, storica piaga sociale del Sud? “Peggiorato anche quello. Il lavoro irregolare - riferisce ancora Grillo - era 23,1% all’inizio del periodo e adesso è il 23,7%. La risposta classica sarebbe quella di stimolare gli investimenti produttivi. In altri luoghi, dall’Irlanda alla Spagna, la ricetta ha funzionato. Da noi, no. La capacità di attrarre investimenti esteri è semplicemente ridicola”. “Gli investimenti dall’estero nel Sud Italia sono migliorati, ma – sottolinea - sommando quelli fatti nelle regioni esaminate il totale non arriva a quello della sola Umbria, non certo una delle aree più dinamiche del Paese, ed è circa un ventesimo di una regione come il Piemonte”.


Si potrebbe allora puntare sul turismo, si sono detti a decine amministratori locali e funzionari ministeriali. Chilometri e chilometri di coste, il mare più bello del mondo, città splendide e località note da secoli per la loro bellezza. Niente da fare! “Il turismo si conferma la più clamorosa occasione mancata dal Mezzogiorno negli ultimi sei anni”, sta scritto nelle conclusioni della ricerca. Quattro miliardi di investimenti destinati a questa voce, per un incremento delle presenze dei turisti pari al 2,5% all’anno. In termini di presenze turistiche registra la metà del resto d’Italia mentre in Francia o in Spagna l’incremento è quattro volte tale. Dunque, che fine ha fatto la montagna di soldi pari a 32 mld di euro? Ogni tanto qualcuno se lo chiede e le risposte certamente non sono confortanti.

Turismo significa attrarre una clientela sul territorio e valorizzare il marchio di una regione. Ma attualmente non si sa i turisti da dove vengano, che gusti hanno e cosa vogliono. Nulla conosciamo dei nostri potenziali clienti. Ancora più importante, nulla si sa sui nostri competitor, chi sono e cosa fanno.

Quali altri suggerimenti si potrebbero dare alla Regione Campania in vista della prossima programmazione 2007 - 2013?

Non disperdere i fondi e concentrare le iniziative su pochi fronti, primo tra tutti la questione sicurezza, che anche se non può far riferimento diretto ai fondi comunitari, può comunque riferirsi ad altre fonti.

Altre iniziative dovranno essere prese nella capacità di attrarre investimenti e infine per ridimensionare il ruolo che ha la Pubblica Amministrazione nella selezione dei progetti da finanziare che produce una distribuzione degli incentivi “a pioggia”, selezionando degli operatori specializzati nella identificazione di business ideas in grado di distinguersi in un contesto globale.

Incentivare infine, le Università delle regioni ad Obiettivo 1 ad acquisire come partner delle imprese multinazionali. Queste sono alcune delle conclusioni della ricerca.

10. Considerazioni finali

Il Ministro per la Riforma della Pubblica Amministrazione, Luigi Nicolais ha affermato, in una recente intervista a proposito dell’operato della Regione Campania: «Dire che i fondi europei sono sostitutivi è un alibi. E non focalizzare gli interventi è sbagliato. Forse Sales ha bisogno di una mano».

Per quanto riguarda i Fondi Strutturali, le dichiarazioni di Nicolais seguono di pochi giorni quelle di un altro Ministro, Luigi Bersani, che intervenendo alla Camera dei Deputati, ha richiamato l’attenzione sul mancato utilizzo di oltre 1/3 dei fondi complessivamente messi a disposizione della nostra Regione per il periodo 2000 - 2006. Sono numeri che parlano da soli e non è certo un caso che il Governo Nazionale richiami l’attenzione su questi dati, i quali dimostrano che la spesa dei fondi comunitari è stata improduttiva sia per la quantità che per la qualità.

L’accusa che rivolgiamo al Governo regionale è relativa alla mancata crescita della Campania, alla mancanza di opere infrastrutturali reali, all’utilizzo dei progetti sponda per coprire il fallimento della programmazione dell’Agenda 2000 - 2006 e della concertazione-farsa attuata con i sindacati e gli enti locali.

Si sta sostanzialmente utilizzando questa enorme quantità di soldi con la stessa filosofia con cui, per anni, sono stati usati i finanziamenti per la Cassa per il Mezzogiorno: denaro a pioggia, che serve solo ad una politica “piccola”, senza disegni progettuali di ampio respiro e che sappia ragionare in termini di sviluppo e competitività a livello internazionale.

Tornando all’intervista, anche il Ministro Nicolais sottolinea che strumenti come i Pit (Progettazione Integrata Territoriale: insieme di azioni intersettoriali, strettamente coerenti e collegate tra di loro, che convergono verso il conseguimento di un comune obiettivo di sviluppo del territorio) sono completamente falliti, perché utilizzati non per lo sviluppo strategico, ma per la manutenzione ordinaria di strade e piazze. Il governo di centrosinistra finora non ha avuto la capacità di sfruttare le risorse messe a disposizione dall’Unione Europea.

Riteniamo che le categorie produttive e le parti sociali della Campania devono, realmente e necessariamente, essere coinvolte nelle scelte che riguardano i progetti da elaborare per l’utilizzo delle risorse 2007 - 2013. Questo aspetto, finora sottovalutato dalla Giunta Regionale della Campania, è prioritario per invertire una tendenza negativa nell’utilizzo dei Fondi UE che rappresentano uno strumento indispensabile per lo sviluppo sociale e produttivo della Campania.

Non è possibile pensare di andare avanti senza stimolare adeguatamente la società e l’imprenditoria locale all’azione. Deve essere una volontà comune quella di crescere ed utilizzare gli strumenti di crescita per proiettarsi sui mercati internazionali.

Ammettere le difficoltà nella spesa significa tentare di modificare le procedure complicate che presiedono alla erogazione dei fondi, significa sconfiggere la pratica della gestione politica dei finanziamenti, significa avere una visione unificante del percorso dello sviluppo regionale tale da rendere coerente con i bisogni dei cittadini gli investimenti e lo sviluppo.

L’amarezza delle polemiche in corso e che non si notano inversioni di tendenza, si parla senza cognizione di causa, la scarsa conoscenza è una caratteristica dei nostri dirigenti , occorre un cambiamento di marcia reale, forte e convinto per concorrere all’utilizzo delle ingenti somme messe a disposizione dalla Unione Europea secondo un percorso di sviluppo reale, sostenibile e condiviso dai cittadini.

Centro Culturale VivaCampaniaViva
Luigi Esposito