venerdì 20 luglio 2007

Summer School – Secondo capitolo – I relatori dei quattro giorni napoletani

Gli interventi che si sono succeduti nella quattro giorni della Summer School si sono svolti su due livelli. Uno squisitamente politico, in particolare con i contributi di Piero Fassino (segretario dei DS), Enrico Letta (Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio), Luigi Nicolais (Ministro della Funzione Pubblica), Antonio Bassolino (Governatore della Regione Campania) e Giovanni Pittella (Presidente della Delegazione Italiana nel PSE), mentre l’altro ha affrontato problematiche politiche da un punto di vista più ampio, vorrei dire “culturale”. Di particolare rilievo in questo senso è stata la conferenza tenuta da Biagio De Giovanni, oltre agli interventi di Raffaele Cananzi (Avvocato dello Stato ed ex presidente dell’Azione Cattolica), Francesco Paolo Casavola (Presidente Emerito della Corte Costituzionale), dei proff. Zaccaria e Ciriello e naturalmente di tutti gli altri docenti i quali hanno portato un contributo comunque notevole alla buona riuscita dell’iniziativa.

Di particolare rilievo a mio avviso nella parte politica è stato il discorso (e anche il successivo dibattito) dell’on. Letta, cui ho ritenuto di dedicare uno spazio a parte.

Le premesse dell’intervento di Piero Fassino – colui che ha dato il “calcio d’inizio” al ciclo di conferenze del primo giorno - hanno puntato i riflettori sulle decisioni dell’UE che, se deciderà di stanziare nuovi fondi per il Mezzogiorno, potrà agevolare il rilancio delle politiche di sviluppo nei confronti del Sud Italia.
Devo dire che già dall’apertura, questo mi è sembrato un modo di sfuggire ai veri problemi della nostra terra. Se è vero che ormai gran parte delle politiche di sviluppo e di coesione si decidono a Bruxelles, è anche vero che è giusto che il Mezzogiorno provi oggi finalmente a rialzarsi da solo puntando seriamente sulle proprie forze e capacità. E d’altronde la politica nazionale poco ha fatto per favorire il rilancio dell’iniziativa privata e lo sviluppo delle attività dalle nostre parti.
Il secondo aspetto del discorso del segretario dei DS ha affrontato il tema della crisi della politica che ha smarrito o ridotto la capacità di esprimere progettualità, visione, costruire metodo e di formare i giovani.
Vi sono due temi cruciali nel rapporto tra cittadino e politica, ha proseguito Fassino, il tema del tempo e quello dello spazio.
Oggi viviamo nella società del tempo reale, nella società dell’istante grazie al web e alla globalizzazione. La politica è nata nella società del tempo differito e quindi non è più in grado di rispondere con la dovuta prontezza alle sollecitazioni della società.
Per il tema spazio bisogna dire che la politica democratica è cresciuta nel corso del ‘900 nella dimensione dello Stato-Nazione in un tempo in cui anche il mercato era nazionale.
Oggigiorno vi è la integrazione europea e la globalizzazione; il fenomeno economico non si esercita più nello Spazio-Nazione ma in una dimensione internazionale, pur rimanendo la sovranità a carattere nazionale.
Tutto ciò accade sia per il fatto che i processi hanno dimostrato che uno spazio più grande è più rischioso sia perchè i cittadini non riescono ad individuare personaggi politici nazionali pronti a difendere lo spazio Europa. Da ciò nasce il desiderio dei cittadini di volere le loro Nazioni. Spetta alla politica adeguarsi alla internazionalità e, successivamente, istruire i cittadini.
Nel dibattito che si svolto successivamente, ho avuto modo di intervenire, facendo presente che, se bisogna individuare due cause della crisi tra politica e società civile, queste sono: il tempo e i ritardi che l’azione di governo ha nei confronti del mondo reale e la percezione che i politici facciano solo i loro interessi e non quelli della collettività.
Ho spiegato infatti, che a mio avviso la classe media non percepisce la causa spazio, poiché è maggiormente concentrata sui problemi della sua quotidianità, piuttosto che ai processi politici sovranazionali.
Fassino ha replicato alla mia sollecitazione, ribadendo l’attuale volontà di diminuire i benefit dei parlamentari (tessere gratuite, buoni pasto ecc.), ma probabilmente così facendo ha eluso la dimensione reale del problema, cioè quella di comportamenti come quello di nominare presidente di qualche inutile commissione l’amico trombato alle elezioni, facendo così lievitare la spesa pubblica e quindi non perseguendo l’interesse generale.

Di scarso rilievo mi è sembrato l’intervento del Governatore Bassolino, il quale ha sottolineato la crisi tra cittadini e politica dovuta al carattere extranazionale del mercato e la peculiarità nazionale della politica, riprendendo alcuni dei temi già svolti da Fassino. Anche lui ha ribadito la necessità di una riforma dei costi della politica ed è un peccato davvero che non sia potuto rimanere durante il successivo dibattito, visto che avrei voluto fargli presente che se c’era qualcuno che certamente non aveva dato grande prova di sé in questa materia, era proprio lui. Ciononostante ho trovato un punto di accordo con le sue parole, quando non ha risparmiato critiche all’attuale legge elettorale che favoriva gli interessi dei partiti e non della società civile (anche se curiosamente anche qui avrei potuto fargli notare che nelle scorse elezioni politiche la sua famiglia se n’è evidentemente avvantaggiata, visto che sua moglie era la capo-lista dei DS in Campania).

Di ben altro rilievo è stata la lezione tenuta dall’on. Giovanni Pittella, durante il terzo giorno, il quale ha sottolineato che i grandi problemi mondiali come disuguaglianze sociali, surriscaldamento del pianeta ci fanno capire che abbiamo bisogno di Governi sovranazionali. Nonostante questo però l’esperienza di sovranazionalità, come quella in Europa, stenta a rafforzarsi e nell’ultimo periodo si è avuta una chiusura a riccio dei cittadini verso l’ambito degli stati nazionali.
Eppure oggi c’è un panorama mondiale dove le grandi potenze, Stati Uniti, Russia e le stesse Nazioni Unite stanno fallendo gli approcci decisionali alle grandi problematiche mondiali. L’Europa allora può e deve riprendersi, trovare obiettivi condivisi e migliorare i propri processi decisionali e rappresentativi, rilanciandosi nell’avanguardia della politica mondiale.

Molto interessante è stato infine il contributo del ministro Nicolais, nell’ultimo giorno di corsi, che ha sottolineato come per molti anni si sono perseguite scelte di innovazione volte esclusivamente a migliorare le tecnologie già esistenti (c.d. Innovazione incrementale). Oggi si deve tendere invece, grazie a grandi passi in avanti della tecnologia, a sostituire l’esistente con qualcosa che ancora non c’è (c.d. Innovazione radicale).
Oggi abbiamo bisogno di pensare ad un ideale di sistema politico, un ideale di amministrazione pubblica reinventando ex-novo il modo di governare e basandolo sulle applicazioni tecnologiche più avanzate.
Questa è una chiave di lettura, a mio avviso, molto intelligente dell’azione di governo. Riallacciandomi a quanto detto da Fassino infatti, ritengo che solo in questo modo può ridursi la diacronia tra le decisioni della macchina amministrativa e il mondo che è in continuo progresso. Anzi, paradossalmente potrebbero immaginarsi scenari dove si potrebbero financo anticipare le esigenze dei cittadini.
Nicolais ha quindi concluso sostenendo come, accanto all’introduzione della tecnologia, deve imporsi un nuovo modo di lavorare, basato sul merito e sulla valutazione delle prestazioni dei lavoratori. Solo in questo modo sarà possibile intaccare la sfiducia che i cittadini hanno nei confronti della P.A.

La parte del leone, nell’ambito del dibattito “culturale”, durante i giorni della Summer School, l’ha fatta a mio avviso l’intervento del prof. Biagio de Giovanni, il quale ha discusso il tema centrale del secondo giorno di corsi, ovvero “politica e cultura: come si ricostruisce un rapporto perduto”.
Nella sua analisi, De Giovanni ha sottolineato che nonostante politica e cultura siano spesso in contatto, non è necessariamente detto che si debbano incontrare, in particolare oggi, visto che è ormai finito il tempo dei grandi partiti ideologici, che pensavano al destino dell’umanità, proponendo quindi esempi di validi intellettuali nelle loro fila.
Qual è l’alternativa verso la fine di questo mondo? È l’antipolitica la risposta?
La crisi attuale è dovuta al fatto che oggi i canali di connessione della politica con la società civile si sono interrotti e l’universo politico è diventato autoreferenziale e la politica è diventata la tecnica di gestione degli equilibri del potere. Ecco quindi i fenomeni del partito personale che crea il distacco con la società civile che reclama la fine della politica come professione e la riduzione dei suoi costi.
In verità il professionismo politico non è il problema, piuttosto questo deve sganciarsi dal mondo autoreferenziale e deve avere ben chiara in sé e nella sua azione l’etica della responsabilità e della convinzione.
Tutto nasce dai fenomeni avvenuti a cavallo tra il ‘92 e il ‘93 quando è crollato il patto politico costituzionale con la fine dei grandi partiti di massa. In questo vuoto si è inserito il berlusconismo che ha fatto nascere un “bipolarismo politico impossibile” che coalizza forze che non si amalgamano e che occupano il loro tempo a disconoscersi vicendevolmente.
La conseguenza è che è venuto a mancare in questi anni un vero è proprio progetto politico che, rivolgendosi alla società civile, riuscisse a rinnovare il Paese. In questo senso il Partito Democratico vuole essere una risposta alla crisi ma a patto che possa essere una vera fucina di nuove idee e possa concretamente attuarle nella società di oggi.
Oggi quindi si deve lavorare avendo a mente questi obiettivi:
- Sfiduciare le oligarchie politiche;
- Lanciare i giovani che sono portatori di una politica carica di progettualità e di idee;
- Rilanciare la sfida dell’Europa come il nuovo tessuto politico dove le società nazionali debbano prendere fiducia in se stessi;
- Stimolare i piani alti della politica a muoversi e stimolare i processi decisionali.

Desidero infine esaminare in dettaglio altri tre interventi caratterizzati da un unico filo conduttore che è quello dell’esame della Costituzione Italiana e delle riforme che sono avvenute negli ultimi anni.

Il Professor Ciriello, Rettore dell’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”, ha presentato subito il “paradosso delle riforme” di Gustavo Zagrebelsky, per il quale un sistema avverte in maniera incalzante la necessità di fare riforme quando vi è un deficit del potere decisionale.
Per arrivare al varo di riforme si richiede una capacità di farle e di coagulare il consenso necessario intorno ad esse. E questo è proprio quello che la politica attuale non riesce a fare: solo un sistema forte riesce a produrre riforme. Questa è una delle motivazioni del travaglio che il nostro Paese sta attraversando nella storia delle riforme istituzionali e costituzionali, dovuta proprio alla debolezza e non rappresentatività del sistema.
Il fatto che da anni si parla di riforme costituzionali però ha prodotto un effetto molto negativo, che è quello di delegittimare la carta costituzionale. Si dà per scontato che la Costituzione si debba modificare eppure questa modifica non riesce a nascere. A causa di questo, la Costituzione appare svalutata anche ad una grande fetta della opinione pubblica che pure non la conosce affatto. La realtà è che la Costituzione ha in sé valori assoluti che vanno tutelati e che i problemi politici non devono risolversi necessariamente con le riforme.

Per Raffaele Cananzi, oggi vi è una crisi politica e istituzionale. L’elemento della crisi politica ha giocato un ruolo importante per la non soluzione della crisi istituzionale e costituzionale e non viceversa.
Secondo il docente, è essenziale recuperare lo spirito dei fondatori della Costituzione e la persuasività di una Costituzione nel tempo, non deriva dalla modernità delle sue disposizioni, ma dalla moderna attualità dei suoi valori.
La Costituzione è di tutti quando la si vuole modificare, bisogna superare il momento del conflitto politico e attuare un compromesso alto.
Dal ’48 ad oggi la Costituzione è stata revisionata ben 13 volte. E se da un lato è comprensibile che dal ‘93 si sono affacciate nuove forze politiche che non hanno partecipato alla formulazione della Costituzione e che quindi hanno voluto presentare le loro proposte di riforma, è anche vero che sono stati proprio i valori contenuti in essa che hanno consentito ai nuovi partiti di proporsi con successo agli elettori. Ecco quindi che i valori e contenuti della Carta vanno difesi, mantenendo sempre ben salda l’ossatura delle regole.
L’importanza valoriale della nostra Costituzione deve continuare ad appartenere a tutti i partiti politici attuali che dovrebbero difenderla.

Infine Francesco Paolo Casavola ha affermato che non possiamo separare la politica interna dalla quella internazionale che sono invece strettamente interconnesse.
In Italia hanno agito due grandi culture: la cultura democratica-cattolica e la cultura socialista. La cultura cattolica ha rivalutato la politica liberandola dal conflitto esterno e interno, facendo nascere la carità intellettuale, che non era di parte, capace di servire il bene comune. Per la cultura socialista il conflitto di classe veniva superato con la solidarietà dei cittadini e con la conquista delle responsabilità delle istituzioni.
Queste due culture sono state le culture che hanno fondato la nostra Costituzione, ma non hanno alimentato il sistema politico che ora è allo sfascio.
Alla luce delle considerazioni di questi studiosi, ritengo sia necessario dover chiudere lanciando un richiamo al rispetto delle regole esistenti. Mi sembra che le forze politiche abbiano utilizzato il tema delle riforme per rinchiudersi ancora di più nel proprio castello e rafforzare i propri poteri, piuttosto che cogliere l’opportunità di un rinnovamento.
D’altronde è sotto gli occhi di tutti che i processi avviati sono spesso non portati a compimento. Basti vedere ciò che è avvenuto con il federalismo o con il processo di unità e di integrazione europea, che dopo l’introduzione dell’euro, ha subito un brusco stop.
La politica ha davanti a sé l’alternativa di rinnovarsi o di essere nuovamente travolta, proprio com’è avvenuto 15 anni fa. Lo stesso Presidente Geremicca lo ha sottolineato nella risposta alla mia lettera aperta e lo ha ricordato più volte nei suoi interventi durante i corsi. Dobbiamo essere noi giovani a dover aprire le porte al rinnovamento, conquistando il nostro posto nell’"arena della lotta politica".

Vi saluto tutti cordialmente,
Luigi Esposito

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