Ho preannunciato che mi sarei occupato separatamente dell’intervento di Enrico Letta alla Summer School (svoltosi nella mattinata di sabato 14 luglio scorso), in quanto ritengo che le sue parole abbiano rappresentato il momento di maggiore spessore ed interesse dell’intera manifestazione.
Il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio si è rivolto alla platea non nascondendo la propria natura di politico impegnato in prima linea nell’esperienza di governo e non risparmiando le proprie personali - e condivisibili - critiche al sistema attuale della politica in Italia.
Il primo elemento che è stato esaminato nella sua analisi è stata la gerontocrazia, che attualmente domina lo scenario politico nazionale. Secondo Letta, le motivazioni di questa anomalia tutta nostra sono da ricercarsi nel fatto che le dialettiche democratiche all’interno dei partiti sono pressoché inesistenti. Ogni leader europeo, da Zapatero a Sarkozy, passando per Angela Merkel e ora Gordon Brown, prima di diventare primo ministro, ha dovuto superare delle fasi di selezione interna all’interno della propria formazione politica: imporsi con le sue idee, diventarne segretario. Solo alla fine di questo processo virtuoso ha potuto affrontare e vincere le elezioni politiche nazionali.
In Italia questa fase semplicemente non esiste, visto che si diventa politici per “cooptazione”. Da anni i leader dei partiti sono sempre gli stessi e, qualora ci sia qualcuno che dissenta dalla linea politica stabilita dai leader, l’unica alternativa che rimane è fondare un proprio partito personale.
L’elemento di novità che deve portare il nascente Partito Democratico, ha continuato il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, deve essere la contendibilità della leadership. Una sana competizione che manterrà il partito giovane e più aggiornato rispetto alle esigenze sempre nuove prospettate dalla società.
Nella seconda parte del suo discorso, Enrico Letta ha proposto la sua interpretazione dell’immobilismo politico e decisionale dell’esperienza italiana.
Applicando i principi di un’analisi economica, Letta ha utilizzato tre parole: POTERE – RESPONSABILITA’ – SANZIONE, per schematizzare come funzioni un sistema virtuoso e come invece le cose vanno avanti nel nostro paese, dove domina la politica della non-azione.
L’uomo politico viene delegato dal popolo a comandare; possiede quindi il potere. Di conseguenza ha anche l’onere di governare bene: si deve assumere le sue responsabilità nella guida del suo governo, sia locale o nazionale. Il concetto di sanzione arriva alla fine: se è stato bravo e ha governato bene, viene sanzionato con una rielezione, ma se ha fallito, deve andare via. Deve quindi esserci un giudizio. La sanzione può essere positiva o negativa, l’importante è che sia correttamente applicata nell’ambito di un gioco democratico.
Nel dibattito che è seguito, ho fatto questo intervento: “Lei parla di potere, responsabilità e sanzione come di parole che si devono applicare. In Campania, i nostri leader politici hanno avuto il potere dal popolo, non si sono assunti le responsabilità delle loro azioni, non sono stati sanzionati in quanto sono ancora ai loro posti. Addirittura il Partito Democratico li vedrà, con molto probabilità, come i futuri dirigenti del Partito Democratico in Campania? Le sembra quindi che il partito democratico stia nascendo con le basi giuste in Campania?
Inoltre lei discute di contendibilità della leadership dei partiti, parlando di Zapatero, Angela Merkel o Sarkozy. A livello campano le domando se non sia il caso di far crescere dei giovani al posto dei vecchi uomini politici che hanno già fallito nella gestione della regione. A livello nazionale lei porta questi esempi e cosa fa? Non agisce? Scenda in campo e porti con sé un gruppo di giovani, lei è un giovane ed è in grado di vincere le primarie!”
Le mie parole hanno infiammato la sala ed è partito un lungo e intenso applauso che indicava che anche il resto della platea condivideva le mie parole.
Letta, nella sua risposta, ha spiegato: “Facciamo entrare competenze, proviamo a mettere un piede nella porta per allargarla. Dobbiamo assumerci le nostre responsabilità interpretando le primarie in modo aperto e coraggioso. Il Partito Democratico è una grandissima opportunità se è aperto e fatto per aprire a nuova classe dirigente. Se è fatto per chiudersi e garantire quelli che sono già dentro, allora fallirà.”
Scrivo questo articolo nel giorno in cui Enrico Letta ha annunciato la sua candidatura alle elezioni primarie per la Segreteria del nascente Partito Democratico. Non posso nascondere la mia personale soddisfazione per questa decisione, che rappresenta bene una generazione, quella di coloro che sono nati e vissuti al di là dei conflitti ideologici tra destra e sinistra e che si preoccupano maggiormente della capacità di gestire bene la cosa pubblica, preoccupati dallo sfascio quotidiano a cui siamo costretti ad assistere.
Ritengo che Walter Veltroni (non considero onestamente le altre candidature presentate finora di particolare rilievo o innovazione) non sia altro che l’espressione di una vecchia nomenklatura che, anziché cogliere l’occasione di uno svecchiamento e rinnovamento, decide di presentare l’ex segretario di partito che aveva guidato i DS alla disfatta elettorale del 2001.
Sono inoltre in sintonia con il Presidente dell’Associazione Ideura, Carmine Pacente, quando dice che è inaccettabile ascoltare proposte di autorevoli politici che auspicano il collegamento dei segretari regionali del PD al candidato alla segreteria nazionale. Ciò vorrebbe dire stroncare sul nascere qualsiasi competizione vera sulla leadership, anche a livello locale e si rischierebbe ancora una volta di legittimare la politica autoreferenziale, nella quale i dirigenti di sempre saltano sul carro del vincitore per conservare la propria rendita di posizione.
Se il Partito Democratico deve avere una spinta di innovazione allora è bene che questa sia reale e concreta, sia a livello campano che nazionale.
Il Presidente Geremicca ha esortato i giovani a fare politica per poter modificare lo stato di fatto. Allora io esorto tutti i “giovani politici” campani a far ascoltare le loro idee e ad avere il coraggio di scontrarsi con la vecchia oligarchia campana senza timore reverenziale, ma con la forza e la consapevolezza di essere nel giusto!
Il mio compito, non facendo (ancora) parte né del mondo politico nazionale, né campano, è quello di spronare i miei “giovani colleghi politici” e tutti quanti a far di più e meglio per la nostra società.
Mi auguro solo che – per una volta - il prossimo leader del Partito Democratico sia libero e forte nelle sue scelte: è in gioco il futuro del nostro Paese e della nostra terra!
Auguro che il Paese possa far crescere giovani desiderosi di rinnovamento e che questa candidatura possa essere il primo segnale di una riscossa annunciata !
Vi saluto tutti cordialmente,
Luigi Esposito
Il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio si è rivolto alla platea non nascondendo la propria natura di politico impegnato in prima linea nell’esperienza di governo e non risparmiando le proprie personali - e condivisibili - critiche al sistema attuale della politica in Italia.
Il primo elemento che è stato esaminato nella sua analisi è stata la gerontocrazia, che attualmente domina lo scenario politico nazionale. Secondo Letta, le motivazioni di questa anomalia tutta nostra sono da ricercarsi nel fatto che le dialettiche democratiche all’interno dei partiti sono pressoché inesistenti. Ogni leader europeo, da Zapatero a Sarkozy, passando per Angela Merkel e ora Gordon Brown, prima di diventare primo ministro, ha dovuto superare delle fasi di selezione interna all’interno della propria formazione politica: imporsi con le sue idee, diventarne segretario. Solo alla fine di questo processo virtuoso ha potuto affrontare e vincere le elezioni politiche nazionali.
In Italia questa fase semplicemente non esiste, visto che si diventa politici per “cooptazione”. Da anni i leader dei partiti sono sempre gli stessi e, qualora ci sia qualcuno che dissenta dalla linea politica stabilita dai leader, l’unica alternativa che rimane è fondare un proprio partito personale.
L’elemento di novità che deve portare il nascente Partito Democratico, ha continuato il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, deve essere la contendibilità della leadership. Una sana competizione che manterrà il partito giovane e più aggiornato rispetto alle esigenze sempre nuove prospettate dalla società.
Nella seconda parte del suo discorso, Enrico Letta ha proposto la sua interpretazione dell’immobilismo politico e decisionale dell’esperienza italiana.
Applicando i principi di un’analisi economica, Letta ha utilizzato tre parole: POTERE – RESPONSABILITA’ – SANZIONE, per schematizzare come funzioni un sistema virtuoso e come invece le cose vanno avanti nel nostro paese, dove domina la politica della non-azione.
L’uomo politico viene delegato dal popolo a comandare; possiede quindi il potere. Di conseguenza ha anche l’onere di governare bene: si deve assumere le sue responsabilità nella guida del suo governo, sia locale o nazionale. Il concetto di sanzione arriva alla fine: se è stato bravo e ha governato bene, viene sanzionato con una rielezione, ma se ha fallito, deve andare via. Deve quindi esserci un giudizio. La sanzione può essere positiva o negativa, l’importante è che sia correttamente applicata nell’ambito di un gioco democratico.
Nel dibattito che è seguito, ho fatto questo intervento: “Lei parla di potere, responsabilità e sanzione come di parole che si devono applicare. In Campania, i nostri leader politici hanno avuto il potere dal popolo, non si sono assunti le responsabilità delle loro azioni, non sono stati sanzionati in quanto sono ancora ai loro posti. Addirittura il Partito Democratico li vedrà, con molto probabilità, come i futuri dirigenti del Partito Democratico in Campania? Le sembra quindi che il partito democratico stia nascendo con le basi giuste in Campania?
Inoltre lei discute di contendibilità della leadership dei partiti, parlando di Zapatero, Angela Merkel o Sarkozy. A livello campano le domando se non sia il caso di far crescere dei giovani al posto dei vecchi uomini politici che hanno già fallito nella gestione della regione. A livello nazionale lei porta questi esempi e cosa fa? Non agisce? Scenda in campo e porti con sé un gruppo di giovani, lei è un giovane ed è in grado di vincere le primarie!”
Le mie parole hanno infiammato la sala ed è partito un lungo e intenso applauso che indicava che anche il resto della platea condivideva le mie parole.
Letta, nella sua risposta, ha spiegato: “Facciamo entrare competenze, proviamo a mettere un piede nella porta per allargarla. Dobbiamo assumerci le nostre responsabilità interpretando le primarie in modo aperto e coraggioso. Il Partito Democratico è una grandissima opportunità se è aperto e fatto per aprire a nuova classe dirigente. Se è fatto per chiudersi e garantire quelli che sono già dentro, allora fallirà.”
Scrivo questo articolo nel giorno in cui Enrico Letta ha annunciato la sua candidatura alle elezioni primarie per la Segreteria del nascente Partito Democratico. Non posso nascondere la mia personale soddisfazione per questa decisione, che rappresenta bene una generazione, quella di coloro che sono nati e vissuti al di là dei conflitti ideologici tra destra e sinistra e che si preoccupano maggiormente della capacità di gestire bene la cosa pubblica, preoccupati dallo sfascio quotidiano a cui siamo costretti ad assistere.
Ritengo che Walter Veltroni (non considero onestamente le altre candidature presentate finora di particolare rilievo o innovazione) non sia altro che l’espressione di una vecchia nomenklatura che, anziché cogliere l’occasione di uno svecchiamento e rinnovamento, decide di presentare l’ex segretario di partito che aveva guidato i DS alla disfatta elettorale del 2001.
Sono inoltre in sintonia con il Presidente dell’Associazione Ideura, Carmine Pacente, quando dice che è inaccettabile ascoltare proposte di autorevoli politici che auspicano il collegamento dei segretari regionali del PD al candidato alla segreteria nazionale. Ciò vorrebbe dire stroncare sul nascere qualsiasi competizione vera sulla leadership, anche a livello locale e si rischierebbe ancora una volta di legittimare la politica autoreferenziale, nella quale i dirigenti di sempre saltano sul carro del vincitore per conservare la propria rendita di posizione.
Se il Partito Democratico deve avere una spinta di innovazione allora è bene che questa sia reale e concreta, sia a livello campano che nazionale.
Il Presidente Geremicca ha esortato i giovani a fare politica per poter modificare lo stato di fatto. Allora io esorto tutti i “giovani politici” campani a far ascoltare le loro idee e ad avere il coraggio di scontrarsi con la vecchia oligarchia campana senza timore reverenziale, ma con la forza e la consapevolezza di essere nel giusto!
Il mio compito, non facendo (ancora) parte né del mondo politico nazionale, né campano, è quello di spronare i miei “giovani colleghi politici” e tutti quanti a far di più e meglio per la nostra società.
Mi auguro solo che – per una volta - il prossimo leader del Partito Democratico sia libero e forte nelle sue scelte: è in gioco il futuro del nostro Paese e della nostra terra!
Auguro che il Paese possa far crescere giovani desiderosi di rinnovamento e che questa candidatura possa essere il primo segnale di una riscossa annunciata !
Vi saluto tutti cordialmente,
Luigi Esposito
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