sabato 29 settembre 2007

Emergenza rifiuti in Campania: quali le cause? - 1 giugno 2007

Finalmente possiamo postare sul nostro blog il dossier rifiuti, redatto i primi di giugno, che ci è stato commissionato dalla Fondazione Mezzogiorno Europa (Fondazione del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano).

§ 1. E’ corretto parlare solo di emergenza rifiuti in Campania?

Per comprendere correttamente l’ampia portata del problema rifiuti che da più di dieci anni è una priorità nell’agenda politica della Regione Campania, è necessario fare uno sforzo per avere una visione di insieme. In mancanza di un quadro ampio che possa dare una panoramica su tutto quello che accade, si rischia di portare avanti soluzioni e strategie parziali che possono, nel migliore dei casi, solo attenuare il problema ma non risolverlo.
Cercheremo di trattare la questione con un linguaggio semplice e senza utilizzare toni allarmistici, limitandoci ad essere dei semplici ed obiettivi espositori dei fatti.
Ci renderemo conto che guardare all’emergenza rifiuti in Campania semplicemente come una questione che riguarda lo smaltimento e gestione della raccolta della spazzatura di una sola regione è alquanto riduttivo, perché il caso ha a che fare con l’intero territorio nazionale, coinvolgendo aspetti quali quello sanitario e ambientale da non sottovalutare.

§ 2. La salute del nostro territorio

Il trasporto e lo smaltimento in discariche illegali di rifiuti (urbani e industriali) è un affare con il quale la criminalità organizzata guadagna proventi addirittura superiori a quelli derivanti dal traffico di droga, con il vantaggio di correre certamente meno rischi di natura penale.
Il traffico dei rifiuti avviene attraverso società di stoccaggio. I rifiuti partono da tutta Italia (in particolare dalle zone maggiormente industrializzate del Nord) come materiali tossici e nocivi. Lungo la strada però vengono cambiate le etichette, falsificate le bolle d’accompagnamento, e diventano così formalmente dei rifiuti normali. Trasportati in Campania vengono sversati sul territorio un po’dove capita, con l’aiuto di qualche Rom o extracomunitario “affittato” al momento.
La cosa più sconcertante è che le discariche illegali non sorgono solo in luoghi isolati o appartati, ma anche in territori più popolosi, aumentando progressivamente in volume e in numero. Per avere una semplice idea del livello a cui si è arrivati, basta percorrere con un’auto in un qualsiasi giorno le strade dell’Asse Mediano, la grande arteria che circonda Napoli o la Variante 7- bis da Pomigliano a Villa Literno e notare che addirittura le piazzole di sosta sulla strada, sono letteralmente coperte di immondizia di provenienza varia.
Grazie a questo sistema i clan hanno creato una vera e propria rete che consente anche a grandi aziende di gestire i propri rifiuti pericolosi ed industriali con costi assolutamente minimi.
Teniamo presente che facciamo riferimento a soggetti che sono criminali più volte. Sia per l’attività illegale in sé e sia perché, sversando illegalmente, provocano danni spesso irreparabili, non solo alle falde acquifere, ma anche alle cavità e ai terreni.
Infatti, allo scopo di nascondere il materiale ed evitare i controlli, i clan – che controllano sia il business dell’edilizia abusiva sia l’estrazione di materiali per costruzione dalle cave abusive – sono arrivati a sotterrare i materiali sia nelle fondamenta dei palazzi, che nelle viscere delle montagne.
Si è quindi, da un lato, trovato il modo per nascondere le cave abusive una volta esaurite, riempiendole di rifiuti tossici e, dall’altro, si sono costruiti palazzi abusivi sui rifiuti, con la conseguenza che i materiali rimangono sepolti per sempre sotto le fondamenta degli edifici. Gli effetti sulla salute dei cittadini sono l’unico elemento che non viene preso in considerazione in un quadro che diversamente sarebbe davvero efficiente!
Negli ultimi tempi, in particolare nel triangolo Qualiano-Giugliano-Villaricca, definito la “terra dei fuochi”, le tecniche di smaltimento sono ulteriormente progredite. I clan, per far sparire più velocemente grosse quantità di rifiuti, li fanno sversare sui terreni allo scopo di bruciarli nel più breve tempo possibile, spesso durante la notte. Le conseguenze di questo fenomeno sono che zone agricole o adibite a pascolo, vengono interamente conta-minate dai prodotti delle combustioni sistematiche, in particolare da diossi-ne.
La tecnica è collaudata e viene messa in pratica a ritmo costante. I più bravi a organizzare gli incendi sono i ragazzi Rom che circoscrivono ogni cumulo con nastri di bobine di videocassette, poi gettano alcool e benzina su tutti i rifiuti e, facendo una miccia enorme, si allontanano. Con un accendino danno fuoco al nastro e tutto in pochi secondi diviene una foresta di fuoco, come fossero state sganciate bombe al napalm. Dentro al fuoco si gettano resti di fonderie, colle e morchie di nafta. Fumo nerissimo e fuoco contaminano di diossina ogni centimetro della terra circostante.
Ancora oggi non è difficile vedere questi fuochi. Basta di nuovo mettersi in auto e fare un giro sull’Asse Mediano, da Nola a Lago Patria, sull’asse di supporto o sulla Circumvallazione esterna di Napoli e scorgere colonne di fumo nero, di giorno e luci di fuochi, di notte.
Il triangolo Giugliano-Villaricca-Qualiano è, secondo il piano regolatore attuato dalla camorra, il principale territorio prescelto come deposito illecito di rifiuti: trentanove discariche, di cui ventisette con rifiuti pericolosi.
Non finisce qui: nell’area tra Acerra, Nola e Marigliano, definita il “triangolo della morte”, vanno a concatenarsi e miscelarsi fenomeni come gli scarichi abusivi della camorra, gli smaltimenti illegali delle aziende e i comuni che non sanno dove dislocare la propria immondizia. Da questo letale mix nasce un inquinamento profondo, probabilmente insanabile, per la falda acquifera.
Nella zona di Acerra sono state effettuate misurazioni di livelli di diossina più alti di quello presente a Seveso nel 1976, quando la popolazione fu fatta sgomberare. Gli effetti del veleno sugli allevamenti sono scioccanti ed è di poche settimane fa la notizia del decesso di un allevatore ammalatosi di cancro. Gli abitanti del comune (circa 50.000) sono esposti, ancora oggi, allo stesso rischio, in quanto non è avvenuta mai una bonifica reale del territorio.
Nel 1997 l'incendio di un deposito per lo stoccaggio di pneumatici della Ecorec di Maddaloni avvolse la città in una fetida coperta di fumo nero che riempì i cieli cittadini per tre giorni. La nube tossica sprigionò elevati livelli di diossina che s'infiltrarono sul suolo danneggiando seriamente i terreni agricoli e gli allevamenti.
Tutto quanto sopra è solo una piccola elencazione di eventi che, legati tra loro, creano una realtà di vera emergenza ambientale che pur denunciata non ha mai trovato nessuno disposto ad ascoltare. Ma una delle situazioni più drammatiche riguarda il bacino interessato dai Regi Lagni, opera idrica nata nel 1500 per bonificare gran parte delle zone paludose che circondavano il capoluogo campano.
Dal progetto n° 4.2 del Febbraio 2002 effettuato da “ENEA-Ministero dell’Ambiente” si conferma una situazione di estrema gravità ambientale e di rischio igienico sanitario in tutta l’area del bacino scolante dei Regi Lagni e dei sistemi afferenti l’area di Cuma; la presenza diffusa di scarichi non autorizzati nelle acque dei Regi Lagni; un uso improprio sia dei canali, che delle sue sponde, per la presenza di vere e proprie discariche di rifiuti di vario genere; la completa mancanza di manutenzione degli argini e del resto delle opere idrauliche.
La cosa da mettere in evidenza è che non si sta parlando di una piccola porzione di territorio, ma di parte notevole dell’intero territorio campano. Infatti, sempre nel progetto sopraindicato, i comprensori gravanti sul bacino dei Regi Lagni sono quelli di: Nola con 232.790 abitanti, Acerra con 314.575 abitanti, Napoli Nord con 343.240 abitanti, Caserta con 299.786 abitanti e la zona della foce dei Regi Lagni con 526.873 abitanti.
In conclusione il fenomeno caratterizza oggi quasi tutta la provincia di Na-poli, gran parte di quella di Caserta e sta iniziando ad interessare anche le zone dell’Irpinia e del beneventano, visto che l’area che insiste intorno al capoluogo campano è diventata ormai satura.
Ma non solo: le organizzazioni criminali hanno iniziato a sversare i rifiuti anche in altre regioni del Sud Italia. A guardare i dati dell’ultima relazione di Legambiente, in Calabria nell’ultimo anno si sono accertati 3153 illeciti contro i 3169 della Campania (che da 13 anni consecutivamente detiene il triste primato nella classifica nazionale dei reati ambientali).

§ 3. Le iniziative e le inchieste

Negli ultimi anni sono nati numerosi comitati civici per tentare di riportare nella normalità la situazione. Come esempio per tutti, vogliamo citare la associazione èidos, onlus di Acerra che con il WWF Campania, ISDE (Associazione Medici Internazionali per l’ambiente sezione regione Campania), Italia Nostra Campania, IPAE (Istituto di Patologia Ambientale ed Ecologia) ha denunciato, già nel lontano 25 Giugno del 2002, la situazione di collasso del territorio acerrano nella sua “Lettera aperta indirizzata alle Autorità nazionali e regionali”, denunciando come uno dei migliori territori agricoli stia scomparendo, in cambio di promesse di bonifiche del territorio che, anche se realizzate, non potranno ripristinare la valenza territoriale perduta. Affermava l’èidos: “E’ come se una persona accettasse di farsi distruggere il cuore con la promessa di un trapianto.”
La Magistratura ha condotto molte inchieste, a partire dal lontano 1991, anno in cui per la prima volta, l’operazione "Adelphi", mise a nudo una situazione allarmante: la Campania era diventata già da anni la pattumiera d’Italia. Successivamente, l’operazione "Eco" colpì il regno del clan dei Casalesi. Questi, grazie al capillare controllo del territorio, non avevano difficoltà a trovare luoghi dove scavare buche in cui nascondere i rifiuti o addirittura sversarli a cielo aperto. In poco meno di due anni, dal giugno ‘94 al marzo ‘96, i Casalesi riuscirono a movimentare centinaia di migliaia di tonnellate di rifiuti speciali (legati in particolare alla lavorazione dei metalli pesanti) provenienti dal Piemonte e dalla Lombardia.
Nell’aprile del 2001, la Procura di Milano ha scoperto un colossale traffico di materiale ad altissimo rischio tra Brescia, Napoli e Caserta: oltre 18.000 tonnellate di rifiuti venivano trasportate dalla Lombardia alla Campania per essere smaltite in discariche abusive e, in gran parte, anche in quella autorizzata di Tufino.
Ancora, l'operazione “Cassiopea” che riguardò proprio quella parte della Campania trasformata in pattumiera d’Italia. Le zone più colpite erano tutte in provincia di Caserta: Casal di Principe, Santa Maria La Fossa, Castelvolturno, Villa Literno, Lago Patria. La procura di Santa Maria Capua Vetere mise sotto processo un gruppo di colletti bianchi con l’accusa di aver smaltito nella sola provincia di Caserta circa un milione di tonnellate di rifiuti di ogni tipo: speciali, pericolosi, urbani.
L’operazione Cassiopea ha aperto comunque la strada ad altre inchieste. Infatti, il 13 Febbraio 2002 la Procura della Repubblica di Spoleto, nell’ambito dell’indagine denominata "Greenland", per la prima volta, fece arrestare un persona per violazione all’art. 53 bis del Decreto Ronchi, attività organizzate di traffico illecito di rifiuti, individuando una struttura organizzata dedita al traffico illecito di milioni di tonnellate di rifiuti speciali.
Infine, nella notte del 9 Giugno del 2004, è scattata l’Operazione "Terra Mia", condotta dal Corpo Forestale dello Stato coordinato dalla Procura di Nola, che ha avuto l'indubbio merito di far scoprire per la prima volta che la zona tra Acerra, Nola e Marigliano è un triangolo di veleni.
Almeno 120 ettari di terreno di quest’area, secondo gli accertamenti degli inquirenti, erano pesantemente inquinati da polveri di abbattimento dei fumi degli altoforni (fonti principali di diossine), dalle scorie saline, dalle schiumature di alluminio e dai car-fluff (frazioni di rifiuti derivanti dalla rottamazione dei veicoli dopo aver eliminato le parti metalliche).
L'operazione consentì anche di tracciare una mappa precisa delle discariche illegali nella zona, terreni nei quali si sversava "alla luce del sole", come sottolinea Ciro Luongo, responsabile del nucleo investigativo della Forestale che affiancò nelle indagini il Pubblico Ministero della Procura di Nola, Federico Bisceglia.
Proprio il PM di Nola volle anche puntualizzare, che in questo caso, la camorra non c'entrava nulla o quasi, dichiarando: "si tratta di imprenditori che operano semplicemente in questi termini di illegalità". Tutti gli arrestati non erano legati ad alcun clan criminale. Erano semplicemente imprenditori, addirittura "puliti", che consideravano quel modo di fare perfettamente normale, se non legale. Questo la dice lunga su quanto il problema in Campania sia d'origine culturale, prima ancora che politica.
Nessun’altra terra al mondo occidentale ha avuto un carico maggiore di rifiuti, tossici e non tossici, sversati illegalmente nel disinteresse (o con la connivenza) delle istituzioni!

§ 4. Le conseguenze

Nel mese di Maggio 2007 è stato pubblicato uno studio effettuato in Campania, commissionato dal dipartimento della Protezione Civile all’Organizzazione Mondiale della Sanità, con la partecipazione dell’Istituto Superiore della Sanità, dell’Arpa Campania, dell’Osservatorio epidemiologico regionale e del Registro campano delle malformazioni congenite.
Il titolo è: «Trattamento dei rifiuti in Campania: impatto sulla salute umana. Correlazione tra rischio ambientale da rifiuti, mortalità e malformazione congenita».
I risultati, riassunti di seguito, fanno rabbrividire:
1. La mortalità generale in Campania è superiore alla media nazionale: +9% per gli uomini e +12% per le donne
2. La percentuale aumenta se si parla di tumori del fegato: +19% per gli uomini, +29%per le donne
3. Le malattie al sistema nervoso si presentano all’83% in più della media nazionale, così come quelle delle malformazioni congenite all’apparato urogenitale: +84%
4. Il risultati più preoccupanti riguardano le città di Acerra, Bacoli, Caivano, Giugliano, Aversa, Castel Volturno, Marcianise e Villa Literno.

Gli esperti hanno lavorato in 196 comuni campani, analizzando i dati sui decessi per vari tipi di tumori e mettendoli in relazione con la «pressione ambientale» legata alla presenza dei rifiuti. Hanno diviso i paesi in cinque categorie: la prima raggruppa i centri meno inquinati, la quinta quelli disastrati. La maglia nera è stata aggiudicata, oltre che ad Acerra, ad Aversa, Bacoli, Caivano, Castel Volturno, Giugliano, Marcianise e Villa Literno.
Ad Acerra, come in altri sette comuni disseminati fra le province di Napoli e Caserta, certi tumori uccidono fino a trenta volte di più che nel resto del paese e il rischio di malformazioni congenite cresce dell'83 per cento. Colpa dei roghi di rifiuti che sprigionano diossina e delle discariche illegali in cui vengono buttate sostanze tossiche e scarti industriali provenienti da tutta Italia. Adulti e bambini si giocano la vita in quel territorio di fumi velenosi provocati dai rifiuti in fiamme e dai miasmi sprigionati dalle sostanze chimiche sotterrate. E poi ci sono gli animali: da anni, le pecore muoiono come mosche, o nascono deformi.
Ad Acerra il Governo Prodi ha dichiarato lo stato d'emergenza "per fronteggiare l'inquinamento ambientale da diossina”.

§ 5. Politica e commissariamento

L’11 febbraio 1994, il Governo nazionale nominò, con un’ordinanza della Presidenza del Consiglio dei Ministri, il prefetto di Napoli a “Commissario straordinario dell’emergenza nel settore dei rifiuti solidi urbani”. Da allora, nell’arco temporale di 13 anni, se ne sono susseguiti altri 5 nelle persone di Rastrelli, Losco, Bassolino, Catenacci ed, infine, Bertolaso, attuale commissario dell’emergenza rifiuti in Campania.
Già il piano formulato da Rastrelli, in qualità di commissario di Governo, doveva riuscire a fornire un servizio di smaltimento rifiuti che avrebbe dovuto portare la Campania fuori dall’emergenza.
Se ancora oggi la nostra Regione è in emergenza, è perché il piano è fallito. Sia per il mancato raggiungimento degli obiettivi previsti in termini di raccolta differenziata, sia perché molti degli impianti previsti non sono stati realizzati, in quanto il piano-Rastrelli non individuava né la localizzazione di tale impianti, né la tempistica di esecuzione, ma ne imponeva solo la costru-zione.
Caduta la giunta Rastrelli, i danni fatti erano oramai troppi per essere sanati in tempi brevi, ma i successori del commissario, Losco e poi Bassolino, invece di cambiare rotta, hanno seguito la stessa strada portando la Campania nel baratro nel quale si trova oggi. Sono gli eventi a parlare.
Quello che alla Campania è mancato è stata l’impostazione di una politica di raccolta e smaltimento basata sul cosiddetto “ciclo chiuso dei rifiuti”.
I tentativi fatti in proposito avevano difetti di base talmente elevati da invalidarli sul nascere.
In un ciclo chiuso, con una percentuale elevata di differenziata già in fase di raccolta, è possibile inviare al riciclo tutto ciò che è recuperabile, avviando verso gli impianti di realizzazione del CDR (sigla con la quale si indica il cosiddetto “Combustibile Derivato dai Rifiuti”), gran parte del resto. A que-sto punto, tutto ciò che è divenuto CDR viene inviato verso i termovalorizzatori, lasciando alle discariche solo i “sovvalli” (cioè la parte non combustibile della frazione secca della raccolta differenziata), le ceneri tossiche che si ottengono come scorie dagli impianti di incenerimento, oltre alla FOS (la “Frazione Organica Stabilizzata”), proveniente dalla frazione umida della differenziata, che va smaltita in impianti appositi (mentre il resto viene recuperato in stabilimenti di produzione di compost fertilizzante). Infine, la parte indifferenziata va inviata ad appositi impianti di vagliatura e di selezione, in grado di separare la frazione secca dalla frazione umida ed immettere nel ciclo anche questa parte di rifiuti.
Un ciclo chiuso dei rifiuti non è altro che una catena di montaggio: basta che si blocchi solo un anello affinché l’intero sistema entri in crisi.
Schematizzando, le fasi sono le seguenti:
1. Allestimento di un efficiente sistema di raccolta e trasporto dei rifiuti urbani;
2. Organizzazione delle modalità di raccolta differenziata sull’intero territorio regionale;
3. Realizzazione o adeguamento dei cosiddetti impianti di compostaggio, cioè impianti per la produzione di compost, il fertilizzante derivato dai rifiuti;
4. Creazione di impianti per la selezione e la preparazione delle varie frazioni differenziate di rifiuti;
5. Realizzazione di impianti di trattamento meccanico-biologico (i cosiddetti impianti di CDR);
6. Costruzione di termovalorizzatori per la trasformazione del CDR in energia;
7. Individuazione di siti da destinare a discariche per il trattamento dei rifiuti;
A vincere la gara relativa all’affidamento della “Progettazione, costruzione e gestione degli impianti di preparazione di CDR e dei due termovalorizzatori” fu un progetto che prevedeva tempi minimi per la realizzazione delle opere, ma che di contro possedeva un valore tecnico-scientifico-ambientale risultato alquanto modesto.
L’aggiudicazione avvenne con la rinunzia consapevole della VIA (Valutazione di Impatto Ambientale) a favore di una semplice “valutazione di compatibilità ambientale” che, in concreto non imponeva vincoli ambientali sostanziali, ma solo adempimenti formali.
Inoltre il contratto di appalto non prevedeva la localizzazione di siti per lo stoccaggio del CDR prodotto; le procedure e i tempi previsti per la realizzazione degli impianti di termovalorizzazione apparivano, come poi si sono dimostrati, poco verosimili.
La situazione attuale è al collasso, in quanto le ecoballe prodotte nei 7 impianti di CDR non possono essere smaltite a causa del ritardo nella realizzazione degli impianti di termovalorizzazione e quindi devono essere stoccate nelle discariche in attesa della costruzione di almeno uno dei due inceneritori.
In pratica, all’operato dalla criminalità, che usa intere porzioni di territorio per sversare abusivamente i rifiuti tossici extraregionali, si aggiunge l’inefficienza delle istituzioni che ha requisito vaste aree per depositare le ecoballe, che però non è in grado di eliminare.
Inoltre le indagini giudiziarie si sono occupate più volte della qualità del CDR, ammassato nei siti di stoccaggio ed anche nei sette impianti per la produzione. Questi siti sono stati sottoposti a sequestro preventivo con provvedimento del G.I.P. presso il Tribunale di Napoli del 12 maggio 2004, successivamente restituiti affinché la società si adeguassero alle prescrizioni di legge e del contratto, e più volte nuovamente sequestrati per inadempienza alle prescrizioni imposte. In particolare, nei casi più eclatanti, ci sono stati sequestri per una cattiva gestione del percolato. Quindi non si tratta di violazioni di norme amministrative, ma si tratta di veri e propri reati ambientali.
E’ sufficiente che, un solo impianto di CDR si blocchi, sia per motivi di manutenzione sia per motivi di sequestro per irregolarità da parte dell’autorità giudiziaria, che, nel giro di 24 ore, diventa impossibile ritirare dalle strade i rifiuti che restano quindi nei cassonetti, traboccano e invadono le carreggiate. Le discariche di “supporto e di emergenza”, previste dal piano proprio per queste eventualità, sono rimaste solo sulla carta.
A seguito di quanto emerso dall’inchiesta parlamentare della XIV Legislatura, è ormai chiaro che il CDR prodotto non risponde ai requisiti richiesti. Tra le molte anomalie ce ne sono alcune pericolose: nelle ecoballe da incenerire sono state rinvenute percentuali di arsenico superiori ai limiti imposti, oltre che ad oggetti interi (ad esempio, una ruota completa di cerchione e pneumatico).
Se il CDR non risponde a queste caratteristiche, non può essere bruciato, e la conseguenza è gravissima: dopo tanti sforzi e tante spese si sono prodotti rifiuti che possono solo essere mandati in discarica.

§ 6. I termovalorizzatori

Un altro aspetto da porre all’attenzione generale è rappresentato dall’alta concentrazione di impianti in una piccola porzione del territorio: i due termovalorizzatori di Acerra (apertura prevista ottobre 2007) e Santa Maria la Fossa in linea d’aria distano solo 20 Km l’uno dall’altro, mentre intorno ai due siti, sono localizzati addirittura cinque dei sette impianti di CDR, preci-samente quelli di Santa Maria La Fossa, Giugliano, Caivano, Acerra e Tufino, che complessivamente dovrebbero trattare il 60% dei rifiuti dell’intera regione.
I termovalorizzatori campani sono stati definiti ecomostri. Il perché è intuibile, se si considera che gli altri impianti presenti sul territorio nazionale, mediamente, si aggirano su una combustione giornaliera con picchi massimi di 300 o 400 tonnellate. Il progetto per i nuovi termovalorizzatori è invece per una capacità media giornaliera di 3500 tonnellate ciascuno, con picchi di 4000, per un totale tra le 7000 e 8000 tonnellate giornaliere incenerite: quattro volte la quantità dell’inceneritore di Brescia, citato come modello, che ne produce 2000 al giorno.
Inoltre, bisogna ricordare che ci sarà il problema della ceneri residue che ne rappresentano il 30% del peso globale del CDR bruciato e che dovranno comunque essere portate nelle discariche. Quindi ad Acerra, quando il termovalorizzatore inizierà a lavorare in un regime di punta massima pari a 4000 tonnellate al giorno, si avrà una produzione di ceneri residue pari a 1200 tonnellate al giorno; 1200 tonnellate di rifiuti speciali e tossici che dovranno essere portati in discariche speciali ancora non individuate.
E pensare che l’emergenza rifiuti in Campania è nata perché le discariche erano sature!

§ 7. I costi e la situazione finanziaria

Come già illustrato, un ciclo chiuso di rifiuti parte da una capillare raccolta differenziata. Si deve, tuttavia, prendere atto che nella regione Campania una politica del genere non è stata mai attuata seriamente, anche perché almeno il 60 per cento dei comuni non hanno le risorse economiche per sostenerla ed anzi sono morosi nei confronti del Commissariato.
Invano Bertolaso ha chiesto che questi debiti venissero soddisfatti, così come aveva già fatto il suo predecessore il prefetto Corrado Catenacci al quale, il 28 gennaio 2005, erano stati assegnati poteri straordinari per incassare sia i debiti dei comuni, sia le tasse sui rifiuti non pagate dai cittadini. I comuni avrebbero dovuto versare al Commissario 37 milioni di euro, ma quell’anno ne arrivarono solo 7.
Oggigiorno si è deciso di attuare la linea dura e una recente ordinanza firmata dal Presidente del Consiglio Romano Prodi, «a fronte dell’ingente morosità dei comuni della regione Campania nel pagamento della tariffa di smaltimento dei rifiuti» autorizza ad una «compensazione». In pratica ai comuni morosi non verranno assegnati dal Ministero dell’Interno «le somme attribuite dallo Stato a titolo di trasferimenti erariali», fino a raggiungere la cifra dovuta al Commissario. In altre parole non si assegneranno a questi comuni parte delle tasse incassate dallo Stato e destinate agli enti locali, fino al recupero del debito che questi hanno per i servizi del Commissariato del-l'emergenza rifiuti.
Si comincia con i debiti più recenti, quelli accumulati tra l’1 Giugno e il 31 Dicembre 2006, partendo dai comuni più grandi, quelli che superano i 50.000 abitanti. Stiamo parlando di Acerra, Afragola, Aversa, Battipaglia, Benevento, Casalnuovo di Napoli, Caserta, Casoria, Castellammare di Sta-bia, Cava de’ Tirreni, Ercolano, Giugliano in Campania, Marano di Napoli, Napoli, Portici, Pozzuoli, Salerno, Scafati e Torre del Greco. Questi comuni, in appena 7 mesi, hanno accumulato ben 43 milioni di euro di debiti nei confronti del Commissario. Ed è solo una parte. Sommando quanto dovuto negli ultimi sei anni arriviamo a cifre incredibili. Napoli deve un totale di 83 milioni di euro, Salerno 7, Caserta 6,6, Benevento 3,4. E ancora: Marano 3,8, Quarto 2,7, Eboli 2,68, Melito di Napoli 2,23, Ischia 2,21. E sono solo i "grossi" comuni.
La beffa più grande, per i napoletani, sarà quella di vedere aumentata la già salatissima tassa sui rifiuti urbani, la cosiddetta TARSU.
Il problema, però, non è solo di carattere economico. Basti pensare che ancora oggi solo tre delle diciotto aziende operanti nel settore della raccolta rifiuti nella Provincia di Napoli sono in grado di garantire un servizio, senza avere il certificato antimafia ostativo.
Più volte, infatti, le indagini della magistratura hanno fatto luce sulla rete di collusione o di condizionamento tra imprese di trasporto e criminalità organizzata, non eliminando, però, il fenomeno in quanto una determinata impresa, in presenza di una certificazione antimafia negativa, è solita cambiare nome sociale, gestione, rappresentanza legale, mantenendo tuttavia gli stessi uffici, indirizzi, numeri telefonici e fax, autotreni e autisti.
Nell’emergenza rifiuti alcuni casi sono a dir poco sconcertanti: il 21 aprile 2005, la Giunta Regionale della Campania ha emesso la Delibera n.628, pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione n. 27 del 23 maggio 2005. In questo documento, la Giunta ha deliberato con voto unanime che pur rimanendo il divieto di immissione sul territorio di RSU (Rifiuti Solidi Urbani) da fuori regione, è consentito il conferimento di rifiuti speciali, pericolosi e non pericolosi, di provenienza extraregionale, presso impianti di recupero privati autorizzati all’esercizio in regione Campania, a condizione che l’ingresso degli stessi sia limitato alle capacità operative residuate dalla ge-stione dei rifiuti prodotti nel territorio regionale e, comunque, sia disciplinato da apposito protocollo d’intesa da stipularsi tra la Regione Campania ed il gestore dell’impianto interessato.
Questo nel 2005, in piena emergenza rifiuti, un anno dopo la data in cui era scaduta l’ordinanza commissariale che vietava l’ingresso dei rifiuti speciali nel territorio campano: ci si aspettava l’approvazione di una delibera che ripristinasse quel divieto, invece si è consentito di far entrare nella regione tonnellate di rifiuti pericolosi in quanto, dopo la scadenza dei termini fissati nell’ordinanza, la fitta rete di piccole imprese di trattamento di rifiuti speciali, certamente non tutti legati ai clan, non lavorava più.
Allora la Campania ha riaperto le porte ai rifiuti speciali
Nonostante le numerose lacune tecniche e logistiche anche l’attuale Commissariamento continua a portare avanti lo stesso piano di emergenza rifiuti in Campania, sempre lo stesso piano.

§ 8. L’individuazione delle discariche e dei siti provvisori

Il 9 ottobre 2006 il Responsabile nazionale della Protezione Civile, Guido Bertolaso diventava anche il nuovo Commissario per l’emergenza rifiuti in Campania.
E’ un dato di fatto che la sua azione non si sia svolta con la dovuta serenità, basti pensare che per ben due volte, il 7 marzo 2007 e il 21 Maggio 2007, il Governo italiano ha respinto le sue dimissioni e che il 4 Aprile 2007 veniva arrestato uno dei suoi vice: il subcommissario Claudio De Biasio, accusato di truffa aggravata nell'ambito di un inchiesta sulle infiltrazioni camorristiche in alcune attività di smaltimento dei rifiuti.
Nelle pagine che seguono capiremo meglio perché alcune delle sue scelte sono state tanto criticate e quali sono gli ambiti nei quali si sarebbe potuto fare di più.
Per risolvere la spinosa questione dell’emergenza rifiuti in Campania, il Consiglio dei Ministri ha varato, lo scorso 11 maggio, un decreto legge ad hoc che nelle intenzioni dovrebbe consentire di chiudere la vicenda entro la fine dell’anno. Il decreto localizza in ciascuna provincia una discarica, individuando quattro siti nei comuni di: Savignano Irpino (Avellino), Terzigno (Napoli), Sant'Arcangelo Trimonte (Benevento), Serre (Salerno). Ai Presidenti delle Province vengono attribuite le funzioni di subcommissari per l’attuazione del programma.
Il commissariato ha poi indicato tre località per stoccare provvisoriamente l’immondizia: a Parapoti (Salerno), ad Acerra in località Pantano (Napoli) e a Difesa Grande (Avellino).
Immediatamente i comitati civici sono insorti sulla scelta dei siti, con conseguenti tensioni e addirittura scontri con le forze dell’ordine, come è successo a Serre e a Pantano.
In particolare per Pantano, si è deciso di riaprire, come sito provvisorio di stoccaggio, un impianto per il quale il Tar aveva disposto la chiusura e che sorge a pochi metri dal costruendo termovalorizzatore.
Per molte notti i rappresentanti dei comitati cittadini hanno bloccato i camion che provenivano da tutta la provincia per riversare 4.000 tonnellate di rifiuti, di cui 3.000 provenienti dal solo capoluogo campano. A livello comunale, la Giunta ha deliberato l’impugnazione dell’ultima ordinanza (n. 158 del 24 maggio 2007) di riapertura dinanzi al TAR.
La situazione di Pantano è drammatica. In una relazione del prof. Franco Ortolani, ordinario di Geologia presso l’Università “Federico II”, presentata dall’Associazione ambientalista “Assise di Napoli”, dopo un sopralluogo avvenuto il 26 maggio, è stato accertato che il conferimento dei rifiuti non differenziati, più simili a rifiuti speciali che a semplici rifiuti urbani, avveniva su piattaforme di calcestruzzo che non offrivano le necessarie e previste garanzie di sicurezza ambientale.
Il 26 Maggio riapre anche la discarica di Parapoti nel comune di Montecorvino Pugliano (Salerno), dove dovrebbe confluire buona parte dei rifiuti campani. Per evitare contatti con i manifestanti, le forze dell'ordine e i tecnici sono entrati da un ingresso secondario della cava.
La riapertura della discarica di Difesa Grande, ad Ariano Irpino, non sarebbe soltanto una ipotesi. Il timore è confermato anche dagli esiti di un recente incontro tra il cardinale di Napoli, Sepe e il vescovo di Ariano Irpino, D’Alise, il risultato del quale impegna la Chiesa a svolgere i propri uffici per una riapertura “tranquilla” della discarica. L’intervento del vescovo della diocesi di Ariano-Lacedonia potrebbe infatti smorzare gli animi degli ambientalisti, già pronti a fare barricate per evitare l’arrivo di altri rifiuti.
Intanto si stanno moltiplicando i messaggi di solidarietà alla cittadina irpina, che ha già sopportato per circa dieci anni il peso della emergenza rifiuti in Campania, mentre il sindaco Gambacorta ha già dichiarato la propria contra-rietà nei confronti di qualsiasi ipotesi di riapertura di Difesa Grande.
Queste scelte si sono rese urgenti e non ulteriormente rinviabili a causa della ennesima crisi che ha attanagliato la raccolta dei rifiuti nelle città campane nel mese di Maggio. Molti sindaci hanno chiuso le scuole, alcuni comuni hanno sospeso i mercati rionali, gruppi di abitanti hanno occupato i binari delle ferrovie e strade, senza parlare dei numerosi incendi di spazzatura che hanno contribuito a far aumentare enormemente i livelli di diossina nei centri abitati.
In questo quadro è giunto un severo monito del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, il quale, il 23 Maggio 2007, ha scritto di suo pugno al Sole24Ore: “Nulla può coprire un complessivo, fatale ritardo – provincia per provincia – nell’indicare soluzioni valide per un problema elementare e vitale che solo in Campania è rimasto irrisolto fino a dar luogo a rischi gravissimi per la collettività”. Il Presidente della Repubblica definisce "tragica" la situazione e giudica "non sufficienti" gli sforzi compiuti dalle Istituzioni. “Lo Stato”, conclude Napolitano, “faccia sentire la sua autorità. Servono decisioni indispensabili: basta ritardi”.
Ma davvero tutta questa tensione era inevitabile? Davvero i siti individuati per le discariche erano gli unici possibili? Non vi sono alternative più congeniali sul territorio campano?
In realtà le alternative esistono, come dimostrato dai prof. Ortolani e de Medici (anche quest’ultimo ordinario di Geologia presso l’Università di Napoli “Federico II”) che hanno collaborato con la struttura commissariale, a titolo gratuito, nei primi mesi del 2007.
Ancora oggi il Professor de Medici si chiede per quale motivo il Commissariato abbia continuato a preferire, per lo stoccaggio dei rifiuti, delle cave dismesse che dovrebbero invece essere rinaturalizzate dalle imprese di estrazione, considerando gli ampi poteri che ha per individuare i siti idonei, tali da preservare le caratteristiche geologiche, ambientali, paesaggistiche e turistiche del nostro territorio campano?
Tra l’altro la maggior parte delle cave dismesse è stata o è ancora, in mano alla camorra che le ha abbandonate in situazioni disastrose. Un ulteriore aspetto da sottolineare è che quasi tutte le cave sono in materiale calcareo e lapideo, cioè geologicamente non si prestano minimamente all’utilizzazione come discarica e soprattutto di rifiuti che si infiltrerebbero nel terreno sotto-stante.
Dopo aver fatto numerosi sopralluoghi, di sua iniziativa e a proprie spese, sul territorio campano, il prof. de Medici ha indicato alla struttura Bertolaso, nel mese di Febbraio 2007, i siti idonei per le discariche: per le province di Salerno, Benevento e soprattutto Avellino, fece riferimento ad aree intorno a Vallesaccarda, Vallata, Lacedonia e Bisaccia, zone che si sarebbero messe a norma nel giro di 20 giorni, scartando Serre che risultava inidonea in quanto si sarebbe potuta sfruttare solo per un periodo di tempo molto limitato, senza possibilità di riportare successivamente il sito agli attuali livelli ambientali.
Sia i coordinatori del Ministero dell’Ambiente, sia i dirigenti dell’Apat appoggiarono le scelte del prof. de Medici.
Secondo lo studio del professore, le aree da lui individuate erano estese per molti chilometri quadrati, presentando situazioni ideali non solo dal punto di vista ambientale e geologico, ma anche strategico, perché servite da una serie di superstrade interne già utilizzate dai camion che trasportano le enormi pale eoliche e che quindi risultano facilmente percorribili anche dagli auto-carri che trasportano i rifiuti.
Se non bastasse, questi campi, utilizzati oggi per l’energia eolica, sono già liberi da vincoli amministrativi e quindi immediatamente utilizzabili. Fino ad oggi le argomentazioni del prof. de Medici non hanno avuto risposte.
Un altro aspetto della vicenda non chiaro al prof. de Medici è relativo all’indicazione del sito di Sant’Arcangelo Trimonte, di cui non si era mai fatta menzione nelle riunioni tenutasi nei primi mesi del 2007 con la struttura commissariale e che, tra l’altro, viene indicato in provincia di Benevento, pur appartenendo a quella di Avellino.
In questa situazione di emergenza, ci sono da segnalare due importanti novità.
Il 17 Maggio scorso, l’Assessore ai Lavori Pubblici della Regione Campania, Enzo De Luca, dopo un incontro con il Dipartimento Nazionale della Protezione civile, con il Commissariato all’emergenza rifiuti e con quello alle bonifiche, ha dato il via libera all’utilizzo di 104 cave abbandonate per depositare le ecoballe (oltre 26,5 milioni di metri cubi).
Quattro giorni dopo, coerentemente con la scelta fatta da De Luca, il ministro dell’Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio, in un'intervista apparsa sul Corriere della Sera ha dichiarato: “In Campania bisogna togliere i rifiuti dalle strade e metterli nelle cave sottratte alla malavita organizzata. Ce ne sono almeno 300 attualmente nella disponibilità della magistratura”, suggerisce il Ministro, concludendo: “naturalmente vanno verificati con attenzione, i siti scelti, valutando le compatibilità e i possibili vincoli ambientali e paesaggistici”.
Anche Franco Russo, Presidente dell’Ordine dei Geologi della Campania, ha recentemente dichiarato che le cave abusive, circa 1000 nella regione, rappresentano una vera emergenza ambientale, visto che gli sversamenti che avvengono e sono avvenuti in esse, portano gravi conseguenze per l'aria, per i suoli e per le falde, in considerazione dell'elevata permeabilità dei rilievi carbonatici campani.

§ 9. La raccolta differenziata in Campania

Un’altra priorità assoluta da mettere in agenda, è l’avvio di una seria politica per la differenziazione della raccolta dei rifiuti, facendo attenzione a non considerare la costruzione del termovalorizzatore come la panacea di tutti i mali. La raccolta differenziata è stata indicata da più parti come la soluzione del problema campano e molto recentemente se ne è finalmente iniziato a parlare anche a livello politico.
Piuttosto incredibilmente (visti i presupposti), sono già 95 i comuni campani che hanno superato la soglia del 35% di raccolta differenziata e sono stati premiati da “Comuni Ricicloni”, la classifica annuale stilata da Legambiente sulle performance nella gestione dei rifiuti delle città italiane. Particolarmente in provincia di Salerno troviamo comuni molto virtuosi, tra i migliori d’Italia: Atella Lucana arriva al 96,1% di raccolta differenziata, Rofrano 91,9, Giffoni Sei Casali 77, San Cipriano Picentino 75,3, Bellizzi 73,3, Montecorvino Rovella 72,2, Corbara 69,3, Padula 68,5. Ma anche la provin-cia di Avellino e quella di Caserta hanno comuni che si distinguono con percentuali di differenziata ben superiori al 35% (che sarebbe il minimo al quale l’Italia sarebbe dovuta arrivare per adeguarsi alle direttive UE).
Paradossalmente però proprio questi Comuni che spingono e puntano sulla raccolta differenziata sono fortemente penalizzati. Infatti, tranne l’insufficiente impianto di Polla (che è stato anche chiuso nell’ottobre del 2006), la Campania non ha strutture per il trattamento della frazione umida dei rifiuti, i cosiddetti “impianti di compostaggio”. Pertanto, le amministrazioni che separano l'umido da carta, vetro e plastica sono incredibilmente costrette a pagare (e tanto) per smaltire fuori dai confini regionali i propri rifiuti organici.
In Campania il Commissariato ha lavorato per trovare nuove discariche, ha creato impianti per la produzione di CDR (Combustibile Derivato da Rifiu-ti) che sono 7 ormai in tutta la regione, ha fatto costruire un inceneritore e ne ha messo in cantiere un altro, ma non ha pensato agli impianti di compostaggio, con la conseguenza che i rifiuti organici dalla Campania si devono portare in Calabria, Puglia o in Sicilia, con un dispendio economico pazzesco e con costi ambientali molto elevati.
Oltretutto al danno si aggiunge la beffa. Nella provincia di Salerno, ci sono ben 156 Comuni che hanno una raccolta differenziata che complessivamente sfiora il 25%, quasi il doppio della media regionale. Questi spendono complessivamente almeno 150 milioni all'anno per gestire il servizio di raccolta e smaltimento, con un costo compreso tra i 70 e i 140 euro a tonnellata solo per il trasporto della frazione umida oltre i confini regionali. Il trasporto è quasi interamente nelle mani dei clan della camorra che più vanno lontano a sversare l'immondizia e più ci guadagnano!
A conti fatti, con una spesa di 3,5 milioni di euro, si potrebbe costruire un impianto di compostaggio per trattare in loco 25mila tonnellate di organico, equivalenti a un bacino di utenza di 400mila abitanti, realizzabile, collaudo incluso, in 12 mesi e in grado di funzionare per almeno 15 anni.
Capire perché il Commissario Bertolaso si sia finora opposto alla costruzione degli impianti di compostaggio dei rifiuti organici non è semplice. L'unica risposta che è stata data ad Angelo Paladino, assessore all'Ambiente della Provincia di Salerno, è che il Commissariato vuole concentrarsi prima sul problema di Napoli e poi sul resto, perdendo di vista un orizzonte più am-pio. Dice Paladino: “Da quando Bertolaso si è insediato, neppure un anno fa, avremmo già costruito i nostri impianti”.
I buoni risultati dei tanti comuni che praticano la raccolta differenziata, ma che la pagano così cara, indicano che la vera questione riguarda il controllo della criminalità organizzata sul traffico e smaltimento dei rifiuti.
Basti pensare che negli oltre 10 anni di commissariamento era stato approntato un piano che facesse partire la raccolta differenziata e che poteva così sintetizzarsi:
- Gare per l’acquisto di attrezzature;
- Gare per l’impiantistica di trattamento e recupero della frazione umida (impianti di compostaggio);
- Assunzione di oltre 2000 lavoratori da impegnare nella raccolta differenziata.
Il costo di questa operazione era quantificabile in oltre 132 miliardi di lire per l’acquisto di attrezzature (automezzi, cassonetti, bidoni ecc), a cui si aggiungevano oltre 18 miliardi di lire per la realizzazione di 18 impianti di compostaggio, di 12 miliardi di lire per la realizzazione del compostaggio domestico, di 12 miliardi di lire per l’acquisto di 5 impianti mobili per il trattamento e il recupero degli inerti.
Tutto questo fiume di denaro avrebbe dovuto avviare un sistema articolato di organizzazione della raccolta differenziata che vedeva i Consorzi di Bacino (istituiti con Legge Regionale n. 10/93) artefici della gestione preveden-do tra l’altro anche l’assunzione a carico di questi di oltre 2000 lavoratori per la raccolta differenziata.
Attualmente si può sostenere, senza ombra di dubbio, che le aspettative dei risultati del sistema Raccolta Differenziata sono molto al di sotto delle previsioni fatte e comunque fortemente in ritardo rispetto alle azioni e ai soldi investiti per l’avvio di un sistema integrato di gestione dei rifiuti.

§ 10. Il ruolo dei comuni e altre problematiche

Un’altra delle situazioni che ha creato maggiori tensioni nell’ultimo periodo, è stata la decisione di esautorare i comuni di quasi tutti i poteri in materia di raccolta dei rifiuti. Ciò ha portato anche a conseguenze estreme, con alcuni sindaci (in prima fila quelli di Castellammare Di Stabia, Frattamaggiore e Portici) che hanno sottoscritto un documento in cui annunciano che rimette-ranno il loro mandato nelle mani di Prodi, perchè "insoddisfatti delle solu-zioni adottate dal Commissariato".
Ci sono stati, è vero, incontri tra sindaci e Bertolaso ma, come denuncia l'ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani), "le riunioni tenutesi fin ora non hanno rappresentato che un puro esercizio dialettico".
Discorso a parte meritano le Province, che nel settore rifiuti non hanno mai avuto competenze, ma che ora, con il nuovo decreto della presidenza del Consiglio, assumono un ruolo determinante: i presidenti delle Province diventano subcommissari. Peccato che le Province non siano attrezzate tecni-camente a questo tipo di attività che ora si vanno ad intersecare con le com-petenze, in materia, della Regione. Il conflitto è quindi inevitabile e infatti la Regione ha già accusato le Province di eccessivo lassismo e di non aver in-dividuato ancora i possibili siti alternativi per lo stoccaggio dei rifiuti.
Ai numerosi problemi si aggiunge la condizione di oltre 2.000 lavoratori, un piccolo esercito, in cui si sovrappongono gestioni comunali, appaltatori privati, consorzi a cui i comuni non hanno mai voluto cedere le competenze e, dulcis in fundo, LSU (lavoratori socialmente utili) assunti sia dalle giunte di destra sia dalle giunte di sinistra: tutti ingannati con la promessa di lavorare a una raccolta differenziata che non si è mai fatta e che oggi percepiscono uno stipendio di 1.500 euro senza fare nulla.
Abbiamo visto molti sindaci indossare la fascia tricolore e capeggiare mobilitazioni contro le decisioni del Commissario, ma nessuno ha mosso un dito per impedire lo sversamento di rifiuti industriali mille volte più pericolosi nelle cave e nelle discariche abusive gestite dalla camorra.
Anche la nuova gara di appalto, per la realizzazione dei tre impianti di incenerimento da 4,5 miliardi di euro, divisa in tre lotti, è andata deserta già due volte e la Fibe, pur licenziata ed esclusa, è ancora lì al suo posto. La Fibe, peraltro, si era aggiudicata la gara in project-financing, cioè anticipando il denaro dell'investimento, perché contava di recuperarlo con i proventi del-l'inceneritore.
Come ci insegna infatti il caso da manuale dell'Asm di Brescia, l'inceneritore è una macchina per fare soldi: non solo a spese degli utenti - i comuni che producono i rifiuti - ma anche dei contribuenti attraverso i denominati Cip6 (incentivi per la produzione di energia da fonti rinnovabili che, anomalia tutta italiana, comprendevano anche gli inceneritori). Ora che i termovalorizzatori sono stati esclusi dai benefici del Cip6, che senso ha continuare a costruirli sapendo che non si avrà alcun vantaggio economico a farlo?
All'incasso può ancora aspirare la Fibe, o chi la sostituirà, ma senza il Cip6 nessuno vorrà mai più finanziare con denaro proprio i nuovi inceneritori. D'altronde, per costruirne uno, tra gare, progettazione, autorizzazioni e cantiere – ammesso che la popolazione non frapponga ostacoli - ci vogliono almeno quattro anni.
A guardare il tutto sembra difficile che dal 1 Gennaio 2008 si torni alla normalità, come ha ordinato per decreto il Governo l’11 Maggio scorso con il rientro dei poteri a Regione, Province e Comuni con la costituzione degli Ato (Ambiti territoriali ottimali che corrisponderebbero grossomodo alle nostre Province) con poteri di gestione diretta.

§ 11. Quadro generale dei problemi

Le scelte semplicistiche degli imprenditori, l’affarismo della criminalità organizzata e le scelte manageriali errate della politica regionale hanno avuto forti conseguenze sulla gestione dei rifiuti creando due enormi problematiche:
A livello nazionale la camorra domina il traffico dei rifiuti tossici e nocivi e anche alcuni imprenditori non appartenenti alla criminalità organizzata ricorrono, per risparmiare, alla gestione illegale dei rifiuti;
A livello regionale le conseguenze delle scelte fatte dalla classe politica regionale hanno determinato una situazione di emergenza rifiuti che non ha più il carattere dell’eccezionalità.
Tutto ciò ha creato, come abbiamo visto, dei danni enormi dal punto di vista ambientale e sanitario.
A livello nazionale, per affrontare i business dell’ecomafia, l’intervento legislativo deve essere più stringente tipizzando le fattispecie di reato ed ina-sprendo le sanzioni previste.
E’ opportuno creare un pool di magistrati che affronti i reati ambientali con la stessa determinazione con cui si combatte la mafia e la droga. Il potere finanziario che la camorra ha raggiunto grazie ai traffici illeciti non è secondo a nessuno e deve essere combattuto e fermato.
Il procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso è recentemente intervenuto nel dibattito in materia auspicando che alla DIA venga data competenza di indagini in materia, specialmente considerando che i trafficanti di rifiuti sono pericolosi quanto quelli della droga e che spesso sono le stesse persone.
Il 24 Aprile 2007 abbiamo avuto la buona notizia che il Consiglio dei Ministri ha approvato, su proposta dei Ministeri dell'Ambiente e della Giustizia, il “Disegno di Legge ecoreati” che contiene le disposizioni concernenti i delitti contro l'ambiente e dà la delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l'integrazione della relativa disciplina.
Multe fino a 250 mila euro e carcere fino a un massimo di dieci anni, più le aggravanti: sono solo alcuni dei punti del ddl approvato dal Consiglio dei Ministri. Si tratta in tutto di 5 articoli.
Alla base del provvedimento, l'offensività del reato e la strutturazione dei reati a seconda del crescente grado di offesa al bene giuridico tutelato: dal pericolo concreto, al danno, fino al disastro ambientale.
È lotta anche alle Ecomafie: introdotti i reati di associazione a delinquere finalizzata al crimine ambientale.
Rimane però la consapevolezza che i nostri politici debbano fare di più in senso generale per risolvere l’annoso problema della gestione dei rifiuti in Italia.
Basti pensare alla recente condanna dell’Italia della Corte di Giustizia Europea per inadempienze nella gestione dei rifiuti e per le molte discariche abu-sive e non autorizzate censite sul territorio. Il nostro Stato, secondo la sentenza C-135/05, “non ha assicurato il recupero e lo smaltimento dei rifiuti senza pericoli per la salute dell’uomo, senza usare metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente e non ha vietato l’abbandono, lo scarico e lo smaltimento incontrollato dei rifiuti”.
A livello regionale, nonostante siano sorti negli ultimi anni numerosi comitati civici e l’azione della magistratura si sia fatta più stringente, il problema è ancora generalmente poco avvertito dalla sensibilità della società civile. In particolare non si è fatto abbastanza dal punto di vista culturale per fare comprendere efficacemente la complessità e tutti gli aspetti del problema.
L’intera società civile campana deve prendere coscienza del fatto che beni come la terra, l’aria e l’acqua appartengono a tutti e che tutti devono tutelare e difendere il proprio territorio.
La considerazione fondamentale, per quanto semplice, è che il nostro territorio non è mai stato considerato dalle autorità quale bene appartenente alla cittadinanza. I cittadini, per quanto debbano essere rispettosi delle regole, devono poter principalmente decidere dell’uso e della destinazione del territorio in cui vivono. Quanto è stato fatto finora è certamente irrispettoso della dignità di tutti i cittadini della Campania.
Ancora oggi, nella nostra regione, non si guarda alla vera direzione dei problemi: si parla di “emergenza rifiuti”, ma si evita di affrontare “l’emergenza sanitaria ed ambientale”. Si potrebbe pensare di finanziare le attività delle ASL per realizzare uno studio delle condizioni di vita della popolazione. I fondi invece vanno al commissariato ai rifiuti, per acquistare terreni dove stoccare rifiuti non riciclabili, trovare nuove discariche, pagare aziende di trasporto, finanziare consulenze d’oro.
Il cittadino può sensibilizzarsi al problema, ma sono le istituzioni che devo-no risolverlo. Ormai sulla nostra Regione ci sono già molteplici studi condotti da Legambiente, dal Ministero dell’Ambiente, dalle ASL, dalle Commissioni Bicamerali, dall’ENEA che danno un quadro completo della situazione, ma a quanto pare non vi è disponibilità, da parte della classe politica campana di prendere decisioni tenendo conto dello stato dei luoghi, recependo ed attuando eventuali “consigli” dal basso.
Basti pensare che a vincere la gara relativa all’affidamento della “Progettazione, costruzione e gestione degli impianti di preparazione di CDR e dei due termovalorizzatori” è risultato un progetto valutato dalla stessa commissione aggiudicatrice largamente insufficiente per quanto riguarda il pregio tecnico, con carenze definite addirittura “imbarazzanti” dal prof. Umberto Arena (componente della Commissione Bicamerale, XIV legislatura, seduta del 29.11.2005).
La classe dirigente politica regionale attuale deve attivarsi in maniera concreta per risolvere questo problema e il nostro vuole essere un invito al fare, piuttosto che alla polemica.

§ 12. Proposta “VivaCampaniaViva”

Alla luce di quanto suesposto vogliamo provare a dare una “nostra” ricetta per affrontare la questione rifiuti in Campania. Questo, senza alcuna pretesa di completezza e più che altro come una proposta per il dibattito, visto che probabilmente l’ambito generale del problema è ancor più vasto di quanto la nostra relazione abbia potuto evidenziare.
I nostri suggerimenti intendono porsi in sintonia con la realtà del nostro territorio, con gli aspetti culturali e geomorfologici della nostra Regione, avendo a mente le risorse umane a disposizione. La Campania ha certamente caratteristiche e una cultura del tutto particolare rispetto al resto del paese.
Il modello di partenza implica un intervento su tre ambiti generali:
1. L’attuazione del ciclo ordinario dei rifiuti;
2. La bonifica dei siti inquinati;
3. La lotta ai traffici e agli sversamenti di rifiuti nocivi verso la Campania e alle infiltrazioni camorristiche nel sistema della gestione dei rifiuti.
La responsabilità per l’attuazione del piano deve rimanere nelle mani di un Commissario Straordinario, il quale però deve potersi dedicare a tempo pieno alla risoluzione dei problemi e deve avere già una buona conoscenza del territorio e delle sue peculiarità. Il tempo tecnico minimo affinché il processo virtuoso si avvii (si badi bene, non concluda), deve essere di almeno due anni. Ipotizziamo quindi che la gestione commissariale debba durare ancora fino a tutto il 2010.
Alle dirette dipendenze del commissario devono esserci tre subcommissari che dovranno interessarsi ognuno delle aree di intervento che abbiamo precedentemente delineato e quindi: raccolta differenziata e smaltimento dei rifiuti;
bonifica dei siti inquinati e lotta ai traffici di rifiuti nocivi verso la Campania e alle infiltrazioni camorristiche nel sistema della gestione dei rifiuti.

E’ fondamentale, anche alla luce del passaggio di competenze, che dovrà comunque avvenire nel più breve tempo possibile, che il Commissariato inquadri, definisca e supporti le attività di Regione, Province e Comuni, delegando ad essi quanti più compiti possibili nella gestione del lavoro ordinario. E’ quindi necessario che pian piano il Commissario diventi sempre più un supervisore del lavoro altrui, che non un sostituto delle autorità locali.
L’ulteriore passo che il Commissariato deve attuare è quello di dotare gli ambiti territoriali di riferimento della Regione (che devono grosso modo coincidere con le attuali province) di tutti gli impianti necessari per la cor-retta gestione del ciclo dei rifiuti (termovalorizzatori, impianti di compo-staggio, CDR e di selezione e vagliatura dei rifiuti).
Infatti, se le province di Caserta, Avellino, Benevento e Salerno sono in condizione di gestire in autonomia lo smaltimento dei rifiuti sul proprio territorio, la stessa cosa non può dirsi per quella di Napoli. La provincia del capoluogo campano conta circa 3 milioni di abitanti (grosso modo i 3/5 dell’intera regione) e ha l’estensione territoriale più ridotta in assoluto. Si deve quindi pensare che ognuna delle altre province debba assumersi una quota dell’immondizia prodotta a Napoli e provincia.
Successivamente sarà necessario organizzare la raccolta differenziata nei singoli comuni, i quali per convenienza potranno organizzarsi liberamente in consorzi. Spetterà poi ai comuni e ai consorzi trasportare i rifiuti raccolti nei centri di smaltimento, sotto la supervisione della struttura commissariale.
Alla luce di quanto detto, le disposizioni contenute nella Legge Regionale n.19 del 03 Aprile 2007 sono sostanzialmente inidonee a risolvere il pro-blema dei rifiuti in Campania, in quanto creano degli Ambiti Territoriali Ottimali (ATO) troppo estesi e di difficile controllo e gestione. Inoltre, con gli ATO i comuni non vengono presi in considerazione nel meccanismo della raccolta. Il che è un errore molto grave poiché senza responsabilizzare i sindaci verso i propri elettori, si recide un rapporto fiduciario che l’amministratore locale deve avere verso il suo elettorato. Se ad esempio un cittadino nota che il comune adiacente è più pulito o fa pagare meno tasse per la raccolta, saprà che la responsabilità della cattiva gestione nel proprio comune appartiene al sindaco.
Anche il decreto legge emanato l’11 maggio 2007 necessiterebbe di una revisione per i seguenti motivi:
Nominando i presidenti delle province a subcommissari, si finisce per dare a degli enti che non hanno né mezzi, né capacità, una enorme responsabilità che invece deve gravare esclusivamente sull’ente Regione. L’unico punto da salvare della provincializzazione decisa dal Governo è la definizione degli ambiti puramente territoriali di raccolta e smaltimento, e certamente non l’individuazione della provincia come ente operativo di coordinamento e controllo;
Le discariche che sono state scelte, come abbiamo ampiamente visto nella nostra trattazione, non sono adatte e non consentono di mettere un punto fermo sulla situazione. Si potrebbero individuare anche più di 5 discariche (anche più d’una per provincia, in modo da non creare situazioni di congestione ambientale in un unico territorio, soluzione quest’ultima seguita da altre regioni italiane). In generale le discariche devono essere individuate soltanto in luoghi geologicamente idonei e certamente non in prossimità dei parchi nazionali, come sul Vesuvio o nel Cilento.
Decidere a tavolino – soprattutto quando si è in una situazione di emergenza – quando il commissariamento deve finire è un ulteriore errore strategico. Il suo compito potrà dirsi concluso solo quando avrà utilmente formato e su-pervisionato l’attività delle risorse istituzionali presenti sul territorio. Si rischia addirittura che in questi ultimi mesi ci sia un calo di tensione e di at-tenzione da parte del Commissariato, il che francamente non è auspicabile.
Riteniamo infine che sia un passo necessario ed urgente quello della risoluzione del contratto con la FIBE, che deve uscire definitivamente dall’affare rifiuti in Campania.
Altre proposte che rientrano nel piano strategico generale includono:

• La normalizzazione del flusso di denaro, con l’azzeramento dei debiti che i comuni campani hanno con la struttura commissariale e il fi-nanziamento, con i promessi 80 milioni di euro, della struttura commissariale.
• Nel breve periodo, per liberare le strade dai rifiuti e abbassare la tensione con la società civile e le amministrazioni locali, bisogna provedere a individuare nuovi o ulteriori siti di discarica, in particolare quelli indicati nello studio del prof. De Medici ubicati in provincia di Benevento, Salerno ed Avellino.
• La creazione degli impianti di compostaggio deve diventare una priorità assoluta di azione. Le ditte che dovranno essere chiamate alla costruzione di questi impianti devono provenire tassativamente da fuori regione (anche dall’estero, se possibile!), devono stare sul mercato da almeno due anni e presentare l’opportuna certificazione antimafia. Con questi presupposti si potrà anche evitare la gara e l’appalto pubblico, aggiudicando i lavori con licitazione privata.
• La costruzione di nuovi impianti di trattamento meccanico-biologico (i cosiddetti impianti di CDR) e la riabilitazione di quelli esistenti deve mirare a un ulteriore recupero di materiali dal rifiuto residuo (frazione organica stabilizzata, plastica, carta e metalli). Le tecnologie per farlo sono disponibili e già ampiamente sperimentate e il residuo da destinare alla discarica può scendere fino al 10 per cento di quanto prodotto.
• Bisogna dare un segnale alla popolazione dei territori più martoriati. Acerra è un’area già accertata ad elevato rischio di crisi ambientale con D.C.d.M. 26/2/1987, inquinata e ad elevata mortalità tumorale. E’ necessario partire immediatamente con le bonifiche di quella zona, quel diritto riconosciuto ad Acerra e relativo circondario dall’art. 17 del decreto Ronchi e dalle stesse ordinanze governative (n. 2948/99 art. 7).
• Il termovalorizzatore di Acerra dovrà entrare in funzione, ma accanto ad esso si dovrà spingere sull’acceleratore per la costruzione di altri impianti (almeno uno per provincia) che evitino l’eccessivo sacrificio ambientale per un’area fin troppo depauperata da sversamenti illegali e non. E’ necessario costituire un Comitato di vigilanza composto da studiosi di sicura autorevolezza e indipendenza, che valga a rassicurare i cittadini sull’idoneità dell’impianto e la sua corretta gestione. Il termovalorizzatore di Acerra deve svolgere la sua attività solo per il tempo tecnico per completare gli altri, successivamente deve essere chiuso. L’inceneritore di S. Maria La Fossa (distante in linea d’aria solo 21 Km da Acerra) va delocalizzato per abbassare la pressione su di un territorio che è stato particolarmente colpito dalla emergenza rifiuti.
• Gli altri inceneritori devono essere realizzati in seguito ad una VIA (Valutazione di Impatto Ambientale) sotto responsabilità del commissario, che dovrà individuare i siti in accordo con le istituzioni locali. Consigliamo di suddividere l’appalto in lotti a base provinciale, in modo tale di suddividere maggiormente l’importo totale della commessa. Anche in questo caso riteniamo che, per evitare infiltrazioni camorristiche, l’asta debba essere riservata a ditte non regionali, esistenti da più di due anni e previa presentazione del certificato antimafia.
• Bisogna ristrutturare, a livello aziendale, i vari consorzi che gestiscono la raccolta della differenziata facendoli interagire e assorbire nelle strutture comunali. Bisogna ristrutturare l’organico aziendale dei Consorzi e reinserire in un flusso produttivo le troppe unità che da troppo tempo sono inutilizzate.
• La raccolta differenziata, per essere efficiente, deve essere fatta tassativamente porta-a-porta, almeno nei comuni fino a 15.000 abitanti, con una responsabilizzazione diretta non solo di ogni singolo utente ma anche, e soprattutto, degli addetti (alias, operatori ecologici). A questi spetta individuare le diverse tipologie di utenze servite, i loro problemi, e contribuire a trovare le soluzioni più acconce per ciascu-na di esse con un confronto in seno ai rispettivi gruppi di lavoro.
• Ambientalisti esperti devono intervenire per attuare interventi di bonifica, tutela, protezione e monitoraggio del territorio. Le ASL devono porre in essere attività di controllo delle malattie allo scopo di evitare situazioni di pericolo per la salute pubblica.
• Un altro imperativo da seguire è lavorare per la riduzione dei rifiuti prodotti, seguendo tre strategie: incentivare le imprese alla realizzazione di imballaggi e packaging più leggeri e meno ingombranti; puntare alla pratica della “restituzione” attraverso accordi con le imprese e la grande distribuzione; favorire il riciclo e riuso, facendo uscire dal circuito discarica-CDR-termovalorizzatore materiali come carta, cartone, vetro, plastica e alluminio.
• Per lo smaltimento delle ecoballe esistenti si dovrà chiedere alle altre regioni italiane di farsi carico di una parte almeno del loro smaltimento. Successivamente si devono rinaturalizzare le cave e restituire finalmente il territorio al popolo campano.
• Si devono eliminare regolamentazioni che cozzano con lo stato di emergenza. E’ quindi consigliabile l’abrogazione della delibera regionale che autorizza l’ingresso nella regione dei rifiuti tossici da altre parti d’Italia.
• Per i rifiuti e gli sversamenti abusivi della camorra in Campania, basterebbe aumentare il presidio nelle vie maggiormente utilizzate. In particolare, l'autostrada A1 e l’A16, la S.S. “Domitiana” e intorno a Napoli, l’Asse Mediano e la S.S. 7 bis. Sono sostanzialmente solo queste le strade battute dai camion dei rifiuti, in particolare: le autostrade e la Domitiana per il trasporto dal Nord e l'Asse Mediano e la 7 bis per gli sversamenti abusivi. Basterebbe predisporre un fitto pattugliamento di Polizia Stradale all’ingresso dei caselli autostradali e lungo le arterie principali sovraesposte per combattere efficacemente il fenomeno.
• Ribadiamo infine la proposta di delegare alla DIA le attività di investigazione e di indagine e di formare un pool di magistrati che possa unificare le indagini e procedere più speditamente alle istruttorie dei processi in materia.

§ 13. Ringraziamenti

Un ringraziamento speciale va al nostro Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che ha rappresentato, con il suo richiamo istituzionale, uno stimolo insostituibile nello svolgimento del nostro lavoro.


Centro culturale
VIVACAMPANIAVIVA
Luigi Esposito

Nessun commento: