"Un nome e un cognome sopra a tutti gli altri: Cesare Romiti". Alfonso Pecoraro Scanio, intervistato da Repubblica, lancia un nome (avvertimento?). Uno di quelli pesanti. Ma perché il ministro ce l'ha con il grande Cesare, già presidente della Fiat e della Gemina, la finanziaria che controlla Rcs, nonché numero uno, fino al 2006 dell'Impregilo? Perché, proprio per l'Impregilo, dietro la monnezza maleodorante di Napoli si nascondeva, fino aquando i magistrati non hanno fermato tutto, buona parte del fatturato. E perché l'Impregilo, nell'annosa emergenza che sta vivendo la Campania, ha un ruolo di primo piano.
L'INCHIESTA - Il 26 giugno 2007 Impregilo crolla a Piazza Affari. Dopo aver aperto a 5,38 euro, inizia il tracollo borsistico: nel giro di pochi minuti arriva a oltre -10 per cento. A determinare la caduta è la Procura di Napoli, che decide per il sequestro di 750 milioni di euro, prelevati direttamente sui conti correnti bancari di Impregilo, Fisia Italimpianti, Fibe e Fibe Campania. Ma i magistrati napoletani Giuseppe Noviello e Paolo Sirleo, coordinati dal procuratore Camillo Trapuzzano, decidono di mandare sulla graticola anche 28 persone, oltre a interdire per un anno l'Impregilo dalle contrattazioni con la pubblica amministrazione. Tra queste Piergiorgio Romiti e Paolo Romiti, l'ex vicecommissario, Raffaele Vanoli, l' ex sub commissario Giulio Facchi, tecnici del commissariato di Governo come Giuseppe Sorace e Claudio De Biasio, gli amministratori delegati di Fibe (la società di Impregilo capofiliera nello smaltimento), Armando Cattaneo e Fisia, Roberto Ferraris. L'ipotesi di reato è truffa aggravata e continuata ai danni dello Stato e frode in pubbliche forniture. Nel novero degli imputati c'è anche quello di Antonio Bassolino, Presidente della Regione nonché commissario straordinario per l'emergenza rifiuti dal maggio 2000 al febbraio 2004. E' lui che ha firmato l'appalto con Impregilo. Ma perché i pm stanno a trascinando alla sbarra il salotto buono della finanza, in mezzo ai liquami di un'emergenza infinita?
L'ORO CHE PUZZA - Al principio, nel 2003, furono le denunce sul trattamento dei rifiuti, delle discariche e dei siti di stoccaggio. Con Bassolino che stava a guardare un sistema che per la Procura non poteva funzionare. Anzi, peggio. Per i pm, infatti, tutto avveniva "con la complicità e la connivenza di chi aveva l'obbligo di controllare e di intervenire e non l'ha fatto purtroppo in tempo". Altre parole, altre pietre. "E' apparso evidente che il comportamento delle società non appariva lineare", "pur essendo consapevoli, fin dall'inizio, che lo smaltimento dei rifiuti non avrebbe potuto funzionare, hanno fatto di tutto per dissimulare tale situazione". Un comportamento che si è protratto nel tempo "ponendo in essere una serie di artifici e raggiri per mantenere le posizioni raggiunte". Ancor più netto il procuratore Giovandomenico Lepore, che su Bassolino non usa mezze parole: "Se fosse intervenuto quando doveva farlo, l'emergenza rifiuti non sarebbe arrivata al punto in cui è ora". La politica si difende, ovviamente, prima di tutto con Fassino: "L'accertamento dei fatti dimostrerà l'assoluta correttezza delle sue scelte".
LO SMALTIMENTO CHE NON C'E' - Quanto costa un chilo di rifiuti smaltito? Poco più di 4 centesimi. Tanto sarebbe stato pagato a Impregilo per ripulire la Campania. Quindi, sapendo che la regione produce oltre 7mila tonnellate di pattume al giorno, l'affare è di circa 110 milioni di euro all'anno. Ai quali poi bisogna aggiungere le ecoballe. Dopo aver infatti "smaltito" i rifiuti, circa la metà sarebbero diventati combustibile da mettere nei termovalorizzatori. Producendo quindi energia. E monetizzando dal pattume altri 100mila euro al giorno. Anzi, le ecoballe a un certo punto si trasformano in futures, in azioni, in garanzie delle banche. Perché l'Impregilo usa proprio gli introiti previsti dallo smaltimento per garantirsi parte del credito dal sistema bancario. E da Napoli, improvvisamente, la storia si sposta a Milano, in piazza Affari. Tanti soldi, dunque. Ma alla fine dove finivano i rifiuti? Semplicemente, da nessuna parte. Non certo smaltiti. Al massimo infilati in qualche buco dal quale il liquame cola nella falda, avvelenando le coltivazioni, i pascoli, le produzioni di pomodori e mozzarelle di bufala. Perché, come ha scritto la Procura, "il sistema non poteva funzionare". Anche perché Bassolino "non impediva, realizzava e consentiva la perpetua violazione degli obblighi contrattuali assunti dall'Ati affidataria in relazione alla gestione del ciclo dei rifiuti solidi urbani in Campania". Omettendo, inoltre, di "promuovere e sollecitare iniziative volte a garantire il rispetto dell'obbligo contrattuale" di ricezione da parte della Ati di tutti i rifiuti solidi urbani, e omettendo "di intraprendere iniziative dirette a contestare e comunque impedire le accertate violazioni contrattuali da parte delle società affidatarie".
LE CONSEGUENZE - Andrea Annunziata, politico della Margherita, ha presentato tempo fa un'interrogazione illuminante al Premier e al Ministro dell'ambiente. Annunziata scriveva che le ecoballe avrebbero dovuto avere "un elevato potere calorico che avrebbe dovuto essere bruciato nei termovalorizzatori che dovevano essere realizzati nella Regione". Il resto, ovvero, la frazione organica stabilizzata, si sarebbe dovuta utilizzare addirittura in piani di recupero ambientale e non certo in discarica. Ma, stando alle rilevazioni della Procura, la frazione organica "non ha le caratteristiche per essere definita una frazione organica stabilizzata e raffinata..., e d'altra parte, uno degli indagati ha pacificamente ammesso che il processo di raffinazione e di stabilizzazione veniva saltato dalla ditta proprio perché la frazione organica non viene impiegata in funzione del recupero ambientale, ma va in discarica...". E, quindi, ad inquinare. Saltando la fase di raffinazione, l'Impregilo in pratica tagliava i costi e aumentava i ricavi.
LE PERIZIE - In ogni tragedia c'è anche un lato tragicomico. Chi fa le perizie per la Procura di Napoli? L'Acea. Che, stando alle dichiarazioni di un altro parlamentare, Tommaso Sodano, "ha stretti contatti ed interessi con il gruppo Impregilo". I pm parlano di indagini scrupolose e di ottimo lavoro. E non è finita. Perché, prima della Acea, la Procura si rivolgeva all'ARPAC, l'organo deputato a questo lavoro in Campania. Peccato che, sempre stando alle parole di Sodano, "avendo un bel buco di alcuni milioni di euro, non ha i laboratori. Per cui si rivolgeva alla FIBE di Genova". E la Fibe che cos'è? Proprio la società della Impregilo sul territorio. La principale accusata dai pm napoletani.
Tratto da Libero Magazine - Affari
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