martedì 24 aprile 2007

Emergenza rifiuti in Campania: quali le cause?

1. E’ corretto parlare solo di emergenza rifiuti in Campania?

Il tema dello smaltimento dei rifiuti in Campania è ancora un tabù; nonostante i recenti articoli e libri di denuncia, a tutt’oggi non si è riusciti a sensibilizzare concretamente i mass-media, la società civile campana e la sua classe politica.
Abbiamo iniziato ad interessarci attivamente ai problemi della nostra Regione nel Maggio del 2006 e, insieme ad alcuni amici, da allora abbiamo letto, discusso, ragionato a 360° sul degrado che caratterizza il nostro territorio, toccando con mano delle situazioni paradossali che in qualsiasi altro paese industrializzato (oltre che in tutto il resto del paese) sarebbero semplicemente inaccettabili.
A tal fine proponiamo una serie di riflessioni che hanno lo scopo di fornire, se non la soluzione, almeno una chiave di lettura che consenta di affrontare concretamente il problema dello smaltimento dei rifiuti in Campania.
Per capire cosa accade, è necessario fare uno sforzo per avere una visione di insieme, senza nascondere le inefficienze politico-amministrative e senza tralasciare il peso della criminalità organizzata, evitando di fare riferimento semplicemente all’ultimo scandalo che indigna la “gente perbene”. Se non si ha un quadro ampio di tutto quello che succede si portano avanti soluzioni e strategie parziali che possono, nel migliore dei casi, solo attenuare il problema ma non risolverlo.
Cercheremo di trattare il problema con un linguaggio semplice e senza utilizzare toni allarmistici limitandoci ad essere dei semplici ed obiettivi espositori dei fatti.
Ci renderemo conto che vedere il problema dell’emergenza rifiuti in Campania semplicemente come un problema di smaltimento e gestione della spazzatura di una Regione è alquanto riduttivo, perché il problema ha a che fare con l’intero territorio nazionale, coinvolgendo aspetti - quale quello sanitario e ambientale - da non sottovalutare.

2. La salute del nostro territorio

Il trasporto e lo smaltimento in discariche illegali di rifiuti (urbani e industriali) è un affare con il quale la criminalità organizzata guadagna proventi addirittura superiori a quelli derivanti dal traffico di droga, con il vantaggio di correre certamente meno rischi di natura penale.
Il traffico dei rifiuti avviene attraverso società di stoccaggio. I rifiuti partono da tutta Italia (in particolare dalle zone maggiormente industrializzate del Nord) come materiali tossici e nocivi, ma lungo la strada vengono cambiate le etichette, falsificate le bolle d’accompagnamento, diventando così formalmente rifiuti normali. Trasportati in Campania vengono sversati, con l’aiuto di qualche ROM o extracomunitario “affittato” al momento, sul territorio secondo modalità differenti.
La cosa più sconcertante è che le discariche illegali non sorgono solo in luoghi isolati od appartati, ma anche nei luoghi più popolosi, aumentando progressivamente in volume e in numero. Per avere una semplice idea del livello a cui si è arrivati, basta percorrere con un’auto in un qualsiasi giorno le strade dell’Asse Mediano, la grande arteria che circonda Napoli o la Variante 7- bis da Pomigliano a Villa Literno e notare che addirittura le piazzole di sosta sulla strada, sono piene di immondizia di provenienza varia.
Grazie a questo sistema i clan hanno creato una vera e propria rete che consente anche a grandi aziende di gestire i propri rifiuti pericolosi ed industriali con costi assolutamente minimali.
Teniamo presente che facciamo riferimento a soggetti che sono criminali più volte. Sia per l’attività illegale in sé e sia perché, sversando illegalmente, provocano danneggiamenti spesso irreparabili, non solo alle falde acquifere, ma anche alle cavità e ai terreni.
Infatti, allo scopo di nascondere il materiale ed evitare i controlli, i clan – che controllano sia il business dell’edilizia abusiva sia l’estrazione di materiali per costruzione dalle cave abusive – sono arrivati a sotterrare i materiali sia nelle fondamenta dei palazzi che nelle viscere delle montagne.
Si è, quindi, trovato il modo per nascondere le cave abusive una volta esaurite, riempiendole di rifiuti tossici e costruendo palazzi abusivi su di esse, con la conseguenza che i materiali rimangono sepolti per sempre sotto le fondamenta degli edifici. Le conseguenze sulla salute dei cittadini sono l’unico elemento che non viene preso in considerazione in un quadro che diversamente sarebbe davvero efficiente!
Negli ultimi tempi, in particolare nel triangolo Qualiano-Giugliano-Villaricca, definito la “Terra dei fuochi”, le tecniche di smaltimento si sono ulteriormente affinate. I clan, per far sparire più velocemente grosse quantità di rifiuti, li fanno sversare sui terreni allo scopo di bruciarli nel più breve tempo possibile, spesso durante la notte. Le conseguenze di questo fenomeno sono che zone agricole o adibite a pascolo, vengono interamente contaminate dai prodotti delle combustioni sistematiche, in particolare da diossine.
La tecnica è collaudata e viene messa in pratica a ritmo costante. I più bravi a organizzare gli incendi sono i ragazzi Rom che circoscrivono ogni cumulo con nastri di bobine di videocassette, poi gettano alcol e benzina su tutti i rifiuti e, facendo una miccia enorme, si allontanano. Con un accendino danno fuoco al nastro e tutto in pochi secondi diviene una foresta di fuoco, come avessero sganciato bombe al napalm. Dentro al fuoco gettano resti di fonderie, colle e morchie di nafta. Fumo nerissimo e fuoco contaminano di diossina ogni centimetro di terra.
Ancora oggi non è difficile vedere questi fuochi. Basta di nuovo mettersi in auto e fare un giro sull’Asse Mediano, da Nola a Lago Patria, sull’asse di supporto o sulla Circumvallazione esterna di Napoli e scorgere colonne di fumo nero, di giorno o luci di fuochi di notte.
Il triangolo Giugliano-Villaricca-Qualiano è, secondo il piano regolatore attuato dalla camorra, il principale territorio prescelto come deposito illecito di rifiuti: trentanove discariche, di cui ventisette con rifiuti pericolosi.
Non finisce qui: nell’area tra Acerra, Nola e Marigliano, definita il “Triangolo della morte”, vanno a concatenarsi e miscelarsi tanti aspetti negativi come la camorra che contamina abusivamente il territorio, le aziende che smaltiscono illegalmente e i comuni che non sanno dove smaltire i propri rifiuti. Dal mix di queste attività, nasce un inquinamento profondo, probabilmente insanabile per la falda acquifera.
Tra Acerra e Salerno c’è un’area dove la ASL nel 2004 ha misurato un livello di diossina più alto di quello presente a Seveso, quando la popolazione fu fatta sgomberare. Gli effetti del veleno sugli allevamenti sono scioccanti ed è di pochi giorni fa la notizia del decesso di un allevatore ammalatosi di cancro. Gli abitanti della zona (circa 50.000) sono esposti, ancora oggi, allo stesso rischio, in quanto non è avvenuta mai una bonifica reale del territorio.
Nel 1997 l'incendio di un deposito per lo stoccaggio di pneumatici della Ecorec di Maddaloni avvolse la città in una fetida coperta di fumo nero che riempì i cieli cittadini per tre giorni. La nube tossica sprigionò elevati livelli di diossina che s'infiltrarono sul suolo danneggiando seriamente i terreni agricoli e gli allevamenti.
Tutto quanto sopra è solo una piccola elencazione di eventi che legati tra loro creano una realtà di vera emergenza ambientale che pur denunciata non ha mai trovato nessuno disposto ad ascoltare. Ma una delle situazioni più drammatiche riguarda il bacino interessato dai Regi Lagni, opera idrica nata nel 1500 per bonificare gran parte delle zone paludose che circondavano il capoluogo campano.
Dopo un accordo di programma “ENEA-Ministero dell’Ambiente” nasce, nel Febbraio 2002, il progetto n. 4.2 dal titolo: “Analisi di specifiche situazioni di degrado della qualità delle acque in Campania, in riferimento ai casi che maggiormente incidono negativamente sulle aree costiere”.
Nella prima parte si riportava tale situazione dello stato dei luoghi: “Il presente rapporto sullo stato di qualità ambientale delle acque nel bacino scolante dei Regi Lagni e dei sistemi afferenti l’area di Cuma, consente di confermare la situazione di estrema gravità ambientale e di rischio igienico sanitario in tutta l’area oggetto di studio”. E’ stata inoltre rilevata:

- la presenza diffusa di scarichi non autorizzati nelle acque dei Regi Lagni;
- un uso improprio sia dei canali, che delle sue sponde, per la presenza di vere e proprie discariche di rifiuti di vario genere;
- la completa mancanza di manutenzione degli argini e del resto delle opere idrauliche.

La cosa da mettere in evidenza è che non si sta parlando di una piccola porzione di territorio, ma di parte notevole dell’intero territorio campano. Infatti, sempre nel progetto sopraindicato, i comprensori gravanti sul bacino dei Regi Lagni sono quelli di: Nola con 232.790 abitanti, Acerra con 314.575 abitanti; Napoli Nord con 343.240 abitanti; Caserta con 299.786 abitanti e la zona della foce dei Regi Lagni con 526.873 abitanti.
In conclusione il fenomeno caratterizza oggi quasi tutta la provincia di Napoli, gran parte di quella di Caserta e sta iniziando ad interessare anche le zone dell’Irpinia e del beneventano, visto che l’area che insiste intorno al capoluogo campano è diventata ormai satura.
Ma non solo: i clan iniziano a sversare i rifiuti anche nelle altre regioni del Sud Italia. A guardare i dati dell’ultima relazione di Legambiente, in Calabria nell’ultimo anno si sono accertati 3153 illeciti contro i 3169 della Campania (che da 13 anni consecutivamente detiene il triste primato nella classifica nazionale dei reati ambientali). C’è n’è abbastanza – se non bastasse tutto quanto detto finora - per suscitare una seria reazione delle autorità nazionali.

3. Le iniziative e le inchieste

Negli ultimi anni sono nati numerosi comitati civici per tentare di riportare nella normalità la situazione. Come esempio per tutti, vogliamo citare la associazione èidos, onlus di Acerra che con il WWF Campania, ISDE (Associazione Medici Internazionali per l’ambiente sezione regione Campania), Italia Nostra Campania, IPAE (Istituto di Patologia Ambientale ed Ecologia) ha denunciato, già nel lontano 25 Giugno del 2002, la situazione di collasso del territorio acerrano nella sua “lettera aperta indirizzata alle autorità nazionali e regionali”, nella quale è riportata una frase molto toccante:
Tra l’indifferenza delle autorità, uno dei migliori territori agricoli del mondo viene eliminato ed in cambio di questa situazione di eccezionale gravità, vengono promesse incerte bonifiche territoriali i cui esiti, quand'anche venissero realizzati, non possono certo ripristinare la
valenza territoriale perduta. E’ come se una persona accettasse di farsi distruggere il cuore con la promessa di un trapianto
”.


La Magistratura ha condotto molte inchieste, a partire dal lontano 1991, anno in cui per la prima volta, l’operazione "Adelphi", mise a nudo una situazione allarmante: la Campania era diventata già da anni la pattumiera d’Italia. Successivamente, l’operazione "Eco" colpì il regno del clan dei Casalesi. Questi, grazie al capillare controllo del territorio non avevano difficoltà a trovare luoghi dove scavare buche in cui nascondere i rifiuti o addirittura sversarli a cielo aperto. In poco meno di due anni, dal giugno ‘94 al marzo ‘96, i Casalesi riuscirono a movimentare centinaia di migliaia di tonnellate di rifiuti speciali (legati in particolare alla lavorazione dei metalli pesanti) provenienti dal Piemonte e dalla Lombardia.
Nell’aprile del 2001, la Procura di Milano ha scoperto un colossale traffico di materiale ad altissimo rischio tra Brescia, Napoli e Caserta: oltre 18.000 tonnellate di rifiuti venivano trasportate dalla Lombardia alla Campania per essere smaltite in discariche abusive e, in gran parte, anche in quella autorizzata di Tufino.
Ancora, l'operazione “Cassiopea” che riguardò proprio una parte della Campania trasformata in pattumiera d’Italia. Le zone più colpite erano tutte in provincia di Caserta: Casal di Principe, Santa Maria La Fossa, Castelvolturno, Villa Literno, Lago Patria. La procura di Santa Maria Capua Vetere mise sotto processo un gruppo di colletti bianchi con l’accusa di aver smaltito nella sola provincia di Caserta circa un milione di tonnellate di rifiuti di ogni tipo: speciali, pericolosi, urbani.
L’operazione Cassiopea ha aperto comunque la strada ad altre inchieste. Infatti, il 13 Febbraio 2002 la Procura della Repubblica di Spoleto, nell’ambito dell’indagine denominata "Greenland", per la prima volta, fece arrestare un persona per violazione all’art. 53 bis del Decreto Ronchi, attività organizzate di traffico illecito di rifiuti, individuando una struttura organizzata dedita al traffico illecito di milioni di tonnellate di rifiuti speciali.
Infine, nella notte del 9 Giugno del 2004, è scattata l’Operazione "Terra Mia", condotta dal Corpo Forestale dello Stato coordinato dalla Procura di Nola, che ha avuto l'indubbio merito di far scoprire per la prima volta che la zona tra Acerra, Nola e Marigliano è un triangolo di veleni.
Almeno 120 ettari di terreno di quest’area, secondo gli accertamenti degli inquirenti, erano pesantemente inquinati da polveri di abbattimento dei fumi degli altoforni (fonti principali di diossine), dalle scorie saline, dalle schiumature di alluminio e dai car-fluff (frazioni di rifiuti derivanti dalla rottamazione dei veicoli dopo aver eliminato le parti metalliche).
L'operazione consentì anche di tracciare una mappa precisa delle discariche illegali nella zona, terreni nei quali si sversava "alla luce del sole", come sottolinea Ciro Luongo, responsabile del nucleo investigativo della Forestale che affiancò nelle indagini il Pubblico Ministero della Procura di Nola, Federico Bisceglia.
Proprio il PM di Nola volle anche puntualizzare, che in questo caso, la camorra non c'entrava nulla o quasi, dichiarando: "si tratta di imprenditori che operano semplicemente in questi termini di illegalità". Tutti gli arrestati non erano legati ad alcun clan criminale. Erano semplicemente imprenditori, addirittura "puliti", che consideravano quel modo di fare perfettamente normale, se non legale. Questo la dice lunga su quanto il problema in Campania sia d'origine culturale, prima ancora che politica.
Nessun’altra terra al mondo occidentale ha avuto un carico maggiore di rifiuti, tossici e non tossici, sversati illegalmente nel disinteresse (o con la connivenza) delle istituzioni!

4. Le conseguenze

Uno studio scientifico condotto nel 2003, ha dimostrato che l'elevato tasso d'inquinamento ambientale nell'intera area casertana, ha provocato un notevole aumento dei tumori all'apparato digerente e respiratorio, con valori ben oltre la media nazionale.
A Marigliano negli ultimi anni si è registrato un aumento dei casi di cancro, un’impennata delle domande di esenzione totale dal ticket sanitario per malattie tumorali, un abbassamento dell’età media in cui ci si ammala. Cose già viste nell’area di Giugliano, Qualiano, Villaricca come nel nolano, dove vi è una incidenza particolarmente elevata di fenomeni tumorali, soprattutto a livello delle vie respiratorie. E’ stata accertata la presenza di diossina nei pascoli destinati al foraggiamento dei greggi di pecore, quindi nel latte e nei suoi derivati (Commissione Bicamerale XIV Legislatura, seduta del 17 Giugno 2003, audizione di Adolfo Izzo, Procuratore della Repubblica di Nola).
La diffusa presenza di rifiuti sul territorio fa male. E in Campania in otto comuni l’impatto dei rifiuti sulla salute umana è più alto rispetto alla media. Si tratta (manco a dirlo) di Acerra, Aversa, Bacoli, Caivano, Castel Volturno, Giugliano in Campania, Marcianise e Villa Literno. I dati provengono dallo studio commissionato dal Dipartimento della Protezione Civile.
Il documento parla chiaro: vivere vicino a grosse quantità di rifiuti provoca tumori del polmone, del fegato, dello stomaco, della vescica, del rene, sarcomi dei tessuti molli e linfomi non Hodgkin e anche malformazioni congenite.

5. Politica e commissariamento


L’11 febbraio 1994, il Governo nazionale nominò, con un’ordinanza della Presidenza del Consiglio dei ministri, il prefetto di Napoli a “Commissario straordinario dell’emergenza nel settore dei rifiuti solidi urbani”. Da allora, nell’arco temporale di 13 anni, se ne sono susseguiti altri 5 nelle persone di Rastrelli, Losco, Bassolino, Catenacci ed, infine, Bertolaso, attuale commissario dell’emergenza rifiuti in Campania.
Già il piano formulato da Rastrelli, in qualità di commissario di Governo, doveva riuscire a fornire un servizio di smaltimento rifiuti che avrebbe dovuto portare la Campania fuori dall’emergenza.
Se ancora oggi la nostra Regione è in emergenza, è perché il piano è fallito. Sia per il mancato raggiungimento degli obiettivi previsti in termini di raccolta differenziata, sia perché molti degli impianti previsti non sono stati realizzati, in quanto il piano-Rastrelli non individuava né la localizzazione di tale impianti, né la tempistica di esecuzione, ma ne imponeva solo la costruzione.
Caduta la giunta Rastrelli, i danni fatti erano oramai troppi per essere sanati in tempi brevi ma i successori del commissario, Losco e poi Bassolino, invece di cambiare rotta, hanno seguito la stessa strada portando la Campania nel baratro nel quale si trova oggi. Sono gli eventi a parlare.
Quello che alla Campania è mancato è stata l’impostazione di una politica di raccolta e smaltimento basata sul cosiddetto “ciclo chiuso dei rifiuti”.
I tentativi fatti in proposito avevano difetti di base talmente elevati da invalidarli sul nascere.
In un ciclo chiuso, con una percentuale elevata di differenziata già in fase di raccolta, è possibile inviare al riciclo tutto ciò che è recuperabile, avviando verso gli impianti di realizzazione del CDR (sigla con la quale si indica il cosiddetto “Combustibile Derivato dai Rifiuti”), gran parte del resto. A questo punto, tutto ciò che è divenuto CDR viene inviato verso i termovalorizzatori, lasciando alle discariche solo i “sovvalli”, cioè la parte non combustibile della frazione secca della raccolta differenziata, le pericolose ceneri tossiche che si ottengono come scorie dagli impianti di incenerimento, oltre alla FOS (la “Frazione Organica Stabilizzata”), proveniente dalla frazione umida della differenziata, che va smaltita in impianti appositi; il resto della frazione umida può essere usato in impianti di produzione di compost fertilizzante. Infine, la parte indifferenziata va inviata ad appositi impianti di vagliatura, di selezione, in grado di separare la frazione secca dalla frazione umida ed immettere nel ciclo anche questa parte di rifiuti.
Un ciclo chiuso dei rifiuti non è altro che una catena di montaggio. Il concetto è elementare e cioè basta che si blocchi solo un anello della catena che l’intero sistema entra in crisi. Alla base del ciclo dei rifiuti c’è un perfetto funzionamento dei meccanismi di raccolta differenziata, e volendo schematizzare e semplificare al limite il sistema bisogna prevedere e pianificare sia impianti di selezione dei rifiuti (in grado di separare tutto ciò che deve essere spedito in discarica da quello che poi dovrà diventare CDR), sia termovalorizzatori pronti a bruciare il combustibile e a trasformare quest’ultimo in energia.
Occorreva, dunque, semplicemente organizzare una programmazione avente ad oggetto la realizzazione della attività di gestione dei rifiuti che prevedesse come tappe obbligatorie e indefettibili:
1. l’attivazione della raccolta differenziata sull’intero territorio regionale;
2. la realizzazione o l’adeguamento dei cosiddetti impianti di compostaggio, cioè impianti per la produzione di compost, fertilizzante derivato dai rifiuti;
3. la costruzione di siti per il trattamento dei rifiuti ingombranti;
4. gli impianti per la selezione e la preparazione delle varie frazioni differenziate di rifiuti;
5. l’organizzazione di un nuovo sistema di trasporto dei rifiuti urbani.
A vincere la gara relativa all’affidamento della “Progettazione, costruzione e gestione degli impianti di preparazione di CDR e dei due termovalorizzatori” fu un progetto che prevedeva tempi minimi per la realizzazione delle opere, ma che di contro possedeva un valore tecnico-scientifico-ambientale alquanto modesto.
L’aggiudicazione avvenne con la rinunzia consapevole della VIA (Valutazione di Impatto Ambientale) a favore di una semplice “valutazione di compatibilità ambientale” che, in concreto non imponeva vincoli ambientali sostanziali ma solo adempimenti formali.
Inoltre il contratto di appalto non prevedeva la localizzazione delle discariche di supporto e di stoccaggio del CDR prodotto; le procedure e i tempi previsti per la realizzazione degli impianti di termovalorizzazione apparivano, come poi si sono dimostrati, poco verosimili.
Attualmente l’avvio della produzione, nei 7 impianti di CDR, di ecoballe non smaltibili, a causa del grave ritardo nella realizzazione degli unici due impianti di termovalorizzazione, ha determinato il definitivo collasso del piano.
A causa dell’enorme quantità di rifiuti confezionati in ecoballe, provenienti dagli impianti di produzione di CDR, si è reso necessario riaprire le discariche, precedentemente chiuse. Questo, al fine di stoccare momentaneamente le ecoballe, in attesa della costruzione di almeno uno dei due termovalorizzatori.
In pratica, all’operato dalla criminalità, che usa intere porzioni di territorio per sversare abusivamente i rifiuti tossici extraregionali, si aggiunge l’inefficienza delle istituzioni che ha requisito vaste aree per depositare le ecoballe, che però non è in grado di eliminare.
E’ dall’agosto del 2003 che avvengono sequestri di strutture commissariali, cioè strutture che sono un passaggio importante del ciclo e della gestione dell’emergenza rifiuti in Campania e ciò perché si tratta di discariche o di impianti gestiti in violazione delle norme da seguire nella corretta gestione dei rifiuti. In particolare, nei casi più eclatanti, ci sono stati sequestri per una cattiva gestione del percolato. Quindi non si tratta di violazioni di norme amministrative, ma si tratta proprio di reati ambientali.
E’ sufficiente che, un solo impianto di CDR si blocchi, sia per motivi di manutenzione sia per motivi di sequestro per irregolarità da parte dell’autorità giudiziaria, che, nel giro di 24 ore, diventa impossibile ritirare dalle strade i rifiuti che restano quindi nei cassonetti, traboccano e invadono le carreggiate. Le discariche di “supporto e di emergenza”, previste dal piano proprio per queste eventualità, sono rimaste solo sulla carta.
Anche quando le ecoballe saranno bruciate nei termovalorizzatori, bisogna ricordare che ci sarà il problema della ceneri residue che ne rappresentano il 30% del peso globale e che dovranno essere portate nelle discariche. Quindi ad Acerra, quando il termovalorizzatore inizierà a lavorare in un regime di punta massima pari a 4000 tonnellate al giorno, si avrà una produzione di ceneri residue pari a 1200 tonnellate al giorno; 1200 tonnellate di rifiuti speciali, rifiuti tossici che dovranno essere portati in discariche speciali ancora non individuate.
E pensare che l’emergenza rifiuti in Campania era nata perché le discariche erano sature!
Inoltre le indagini giudiziarie si sono occupate più volte della qualità del CDR, ammassato nei siti di stoccaggio ed anche nei sette impianti per la produzione. Questi siti sono stati sottoposti a sequestro preventivo con provvedimento del G.I.P. presso il Tribunale di Napoli del 12 maggio 2004, successivamente restituiti affinché la società si adeguasse alle prescrizioni di legge e del contratto, e più volte nuovamente sequestrati per inadempienza alle prescrizioni imposte.
A seguito di quanto emerso dall’inchiesta parlamentare della XIV Legislatura, dal 2002 al 2006, è oramai chiaro che il CDR prodotto non risponde ai requisiti richiesti. Tra le molte anomalie ce ne sono alcune pericolose: nelle ecoballe da incenerire sono state rinvenute percentuali di arsenico superiori ai limiti imposti, oltre che ad oggetti interi (ad esempio, una ruota completa di cerchione e pneumatico).
Se il CDR non risponde a queste caratteristiche, non può essere bruciato, e la conseguenza è gravissima: dopo tanti sforzi e tante spese abbiamo prodotto un rifiuto che come tale deve essere mandato in discarica.
Un altro aspetto da porre alla attenzione di tutti è rappresentato dalla alta concentrazione di impianti in una piccola porzione del territorio: i due termovalorizzatori di Acerra e Santa Maria la Fossa in linea d’aria distano solo 20 Km l’uno dall’altro, mentre attorno ai due siti sono localizzati addirittura cinque dei sette impianti di CDR, precisamente quelli di Santa Maria La Fossa, Giugliano, Caivano, Acerra e Tufino, che complessivamente dovrebbero trattare il 60% dei rifiuti dell’intera regione.
I termovalorizzatori campani sono stati definiti ecomostri. Il perché è intuibile, se si considera che gli altri impianti presenti sul territorio nazionale, mediamente, si aggirano su una combustione giornaliera con picchi massimi di 300 o 400 tonnellate. Il progetto per i nuovi termovalorizzatori è invece per una capacità media giornaliera di 3500 tonnellate, con picchi di 4000, per un totale di 7500 o 8000 tonnellate giornaliere incenerite: quattro volte la quantità dell’inceneritore di Brescia, citato come modello, che ne produce 2000 al giorno.
Come già illustrato, un ciclo chiuso di rifiuti parte da una capillare raccolta differenziata. Si deve, tuttavia, prendere atto che nella regione Campania simile raccolta non è stata mai realizzata anche perché almeno il 60 per cento dei comuni non ha le risorse economiche per sostenerla.
Il problema, però, non è solo di carattere economico. Basti pensare che ancora oggi solo tre delle diciotto aziende operanti nel settore della raccolta rifiuti nella Provincia di Napoli sono in grado di garantire un servizio, senza avere il certificato antimafia ostativo.
Più volte, infatti, le indagini della magistratura hanno fatto luce sulla rete di collusione o di condizionamento tra imprese di trasporto e criminalità organizzata, non eliminando, però, il fenomeno in quanto una determinata impresa, in presenza di una certificazione antimafia negativa, è solita cambiare nome sociale, gestione, rappresentanza legale, mantenendo tuttavia gli stessi uffici, indirizzi, numeri telefonici e fax, autotreni e autisti.
Nell’emergenza rifiuti alcuni casi sono a dir poco sconcertanti: il 21 aprile 2005, la Giunta Regionale della Campania ha emesso la Delibera n.628, pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione n. 27 del 23 maggio 2005. In questo documento, la Giunta ha deliberato con voto unanime che pur rimanendo il divieto di immissione sul territorio di RSU (Rifiuti Solidi Urbani) da fuori regione, è consentito il conferimento di rifiuti speciali, pericolosi e non pericolosi, di provenienza extraregionale, presso impianti di recupero privati autorizzati all’esercizio in regione Campania, a condizione che l’ingresso degli stessi sia limitato alle capacità operative residuate dalla gestione dei rifiuti prodotti nel territorio regionale e, comunque, sia disciplinato da apposito protocollo d’intesa da stipularsi tra la Regione Campania ed il gestore dell’impianto interessato.
Questo nel 2005, in piena emergenza rifiuti, un anno dopo la data in cui era scaduta l’ordinanza commissariale che vietava l’ingresso dei rifiuti speciali nel territorio campano: ci si aspettava l’approvazione di una delibera che ripristinasse quel divieto, invece si è consentito di far entrare nella regione tonnellate di rifiuti pericolosi in quanto, dopo la scadenza dei termini fissati nell’ordinanza, la fitta rete di piccole imprese di trattamento di rifiuti speciali, certamente non tutti legati ai clan, non lavorava più.
Allora la Campania ha riaperto le porte ai rifiuti speciali
Nonostante le numerose lacune tecniche e logistiche anche l’attuale commissariamento continua a portare avanti lo stesso piano di emergenza rifiuti in Campania, sempre lo stesso piano.
Di sicuro una parte della struttura attuale va salvata; sarebbe stupido pensare alla distruzione dei sette impianti di CDR già realizzati, e di tutti gli altri impianti esistenti. Si tratta solo di integrarli in un nuovo piano che davvero sposi le reali esigenze territoriali, morfologiche ed ambientali della nostra Regione Campania.

6. Le possibili soluzioni

Le scelte semplicistiche degli imprenditori, l’affarismo della criminalità organizzata e le scelte manageriali errate della politica regionale hanno avuto forti conseguenze sulla gestione dei rifiuti:
- A livello nazionale l’ecomafia domina il traffico dei rifiuti tossici e nocivi;
- Anche alcuni imprenditori non appartenenti alla criminalità organizzata ricorrono, per soddisfare il proprio utile rappresentato dal risparmio, alla gestione illegale dei rifiuti;
- Le conseguenze delle scelte fatte dalla classe politica regionale hanno determinato una situazione di emergenza rifiuti che non ha più il carattere dell’eccezionalità.
Tutto ciò ha creato, come abbiamo visto, dei danni dal punto di vista ambientale e sanitario.
A livello nazionale: è auspicabile, quindi, creare un team di professionalità eterogenee, costituito da parlamentari, ambientalisti, manager, magistrati, chimici, fisici, forze dell’ordine e medici che affronti il problema del traffico nazionale e internazionale di rifiuti.
L’intervento legislativo deve essere più stringente tipizzando le fattispecie di reato ed inasprendo le sanzioni previste.
E’ opportuno creare un pool di magistrati che affronti i reati ambientali con la stessa determinazione con cui si combatte la mafia e la droga. Il potere finanziario che la camorra ha raggiunto grazie ai traffici illeciti non è secondo a nessuno e deve essere combattuto e fermato. Eventualmente bisognerebbe assegnare tali problematiche alla DIA, come ha recentemente suggerito il procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso, considerando che i trafficanti di rifiuti sono pericolosi quanto quelli della droga e che spesso sono le stesse persone.
E’ auspicabile creare un gruppo di esperti manager capaci di comprendere l’ambito reale del problema, realizzando progetti che definiscano gli obiettivi da raggiungere, la strategia da attuare, i costi da supportare nei tempi stabiliti.
Ambientalisti esperti devono intervenire per attuare interventi di bonifica, tutela, protezione e monitoraggio del territorio.
Infine, le ASL devono porre in essere attività di controllo e monitoraggio delle malattie allo scopo di evitare situazioni di pericolo per la salute pubblica.
Il ministero dell’Ambiente dovrebbe promuovere una campagna di pubblicità progresso.
E’ proprio di oggi, 24 Aprile 2007, la notizia (finalmente un comunicato che ci rende contenti) che il Consiglio dei Ministri ha approvato, su proposta dei Ministeri dell'Ambiente e della Giustizia, il Ddl eco-reati che contiene le disposizioni concernenti i delitti contro l'ambiente e dà la delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l'integrazione della relativa disciplina.
Multe fino a 250 mila euro e carcere fino a un massimo di dieci anni, più le aggravanti: sono solo alcuni dei punti del ddl approvato dal Consiglio dei Ministri. Si tratta in tutto di 5 articoli.
Alla base del provvedimento l'offensività del reato e la strutturazione dei reati a seconda del crescente grado di offesa al bene giuridico tutelato: dal pericolo concreto, al danno, fino al disastro ambientale.
È lotta anche alle Ecomafie: introdotti i reati di associazione a delinquere finalizzata al crimine ambientale
A livello regionale: la Regione Campania dovrebbe promuovere una campagna pubblicitaria atta a sensibilizzare la società civile campana, in particolare sulla necessità di attuare una raccolta differenziata e sull’opportunità di sensibilizzare maggiormente la popolazione sui rischi derivanti dalla devastazione ambientale del territorio.
Nonostante siano sorti negli ultimi anni numerosi comitati civici e l’azione della magistratura si sia fatta più stringente, il problema è ancora generalmente poco avvertito dalla sensibilità della società civile. In particolare non si è fatto abbastanza dal punto di vista culturale per fare comprendere efficacemente la complessità e tutti gli aspetti del problema.
L’intera società civile campana deve prendere coscienza del fatto che beni come la terra, l’aria e l’acqua appartengono a tutti e che tutti devono tutelare e difendere il proprio territorio.
La considerazione fondamentale, per quanto semplice, è che il nostro territorio non è mai stato considerato dalle autorità quale bene appartenente alla cittadinanza. I cittadini, per quanto debbano essere rispettosi delle regole, devono poter principalmente decidere dell’uso e della destinazione del territorio in cui vivono. Quanto è stato fatto finora è certamente irrispettoso della dignità di tutti i cittadini della Campania.
Ancora oggi, nella nostra regione, non si guarda alla vera direzione dei problemi: si parla di “emergenza rifiuti”, ma si evita di affrontare “l’emergenza sanitaria ed ambientale”. Si potrebbe pensare di finanziare le attività delle ASL per realizzare uno studio delle condizioni di vita della popolazione. I fondi invece vanno al commissariato ai rifiuti, per acquistare terreni dove stoccare rifiuti non riciclabili, trovare nuove discariche, pagare aziende di trasporto, finanziare consulenze d’oro.
E’ triste vedere che l’interesse della gran parte della popolazione sia solo quello di avere gioielli, capi firmati ed auto lussuose, sebbene queste ultime circolino tra i cumuli di rifiuti.
Il singolo cittadino può sensibilizzarsi al problema ma sono le istituzioni che devono risolverlo. Ormai sulla nostra Regione ci sono già molteplici studi condotti da Legambiente, dal Ministero dell’Ambiente, dalle ASL, dalle Commissioni Bicamerali che danno un quadro completo della situazione, ma a quanto pare non vi è disponibilità, da parte della classe politica campana di prendere decisioni tenendo conto dello stato dei luoghi, recependo ed attuando eventuali “consigli” dal basso.
Basti pensare che a vincere la gara relativa all’affidamento della “Progettazione, costruzione e gestione degli impianti di preparazione di CDR e dei due termovalorizzatori” è risultato un progetto valutato dalla stessa commissione aggiudicatrice largamente insufficiente per quanto riguarda il pregio tecnico, con carenze definite addirittura “imbarazzanti” dal prof. Umberto Arena (componente della Commissione Bicamerale, XIV legislatura, seduta del 29.11.2005).
La classe dirigente politica regionale attuale deve attivarsi in maniera concreta per risolvere questo problema e il nostro vuole essere un invito al fare, piuttosto che alla polemica.
Una soluzione, comunque, si sta già trovando ed è la più semplice e meno costosa: iniziare una emigrazione altrove lasciando che le regioni del Sud diventino la pattumiera d’Italia!

E’ possibile trovare l’intero dossier sul nostro blog: http://vivacampaniaviva.blogspot.com/.
Con tutti i relativi commenti senza alcuna censura.

Di seguito riportiamo tre tra le molteplici fonti da consultare per avere visione del problema:

- Importante ed imperdibile è il testo di Alessandro Iacuelli dal titolo “Le vie infinite dei rifiuti – il sistema campano”.
- Il dossier di Legambiente: “La società civile delle province di Napoli e Caserta in rete per incastrare la criminalità” del 12 Luglio 2002 reperibile sul sito:
http://www.geofilos.org/12luglio/dossier.pdf
- Il progetto coordinato tra “ENEA e Ministero dell’ambiente”: “Progetto Regi Lagni” del Febbraio 2002 reperibile al sito:
http://www.bologna.enea.it/ambtd/regi-lagni/homepage-rl.html

I fondatori: Luigi Esposito, Mario de Riso di Carpinone

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Non capisco. La diossina entra nella catena alimentare, ed i cammorristi non sono immuni.
Ma i cammoristi vivono anche loro a Napoli? Fanno la spesa, vanno nei ristoranti o a mare? Non capiscono che tutto questo va a discapito anche di loro stessi e dei propri famigliari?.
Non capisco.

VivaCampaniaViva ha detto...

Semplice: camorra = ignoranza.

Il camorrista pensa di risolvere i suoi problemi bevendo acqua minerale. Che poi, bruciando i rifiuti si produca diossina e che questa causi tumori, il camorrista non lo sa e se lo sa non lo fa sapere...