L’impunità del presidente del Consiglio non vale più soltanto per i suoi reati, grazie ad apposite leggi. Vale anche per le sue esternazioni, grazie a quella corte di terzisti, pompieri e paraculi indaffaratissimi a raccomandare toni bassi, moderazione, bon ton prudenza all'opposizione. A Bellachioma e alla sua fairy band, invece, lasciano dire di tutto. Eppure a nessun esponente del centrosinistra, ma nemmeno ai «disobbedienti», è mai saltato in mente di «eliminare, se non fisicamente, politicamente» il centrodestra. Al presidente del Consiglio in carica, anzi in scarica, sì: l'ha detto due giorni fa. Qualche terzista l'ha invitato a non demonizzare? Giammai. Forse la reazione asimmetrica dei commentatori «indipendenti» deriva dal fatto che ormai si tende a considerare il premier uno squilibrato irrecuperabile, da assecondare ancora per qualche mese. Ma così gli si regala un enorme vantaggio in campagna elettorale, dove le parole contano molto più dei fatti. Il «leader dei moderati» può mentire, minacciare, delirare, insultare indisturbato. I suoi oppositori, anche se dicono un millesimo di quel che dice lui, sono «estremisti», «radicali», «inaffidabili» e soprattutto «odiano». Basta che un pericoloso esperto ventili un ritiro dall'Iraq per far subito strillare alla "deriva zapaterista". Basta che un temerario proponga una legge antitrust per far gridare a «Piazzale Loreto». Col risultato che nell'Unione serpeggia il terrore di incorrere in quelle accuse, e si fa di tutto per tranquillizzare non gli elettori, ma gli avversari (Confalonieri, alle convention della Margherita, è più assiduo di Parisi). Intanto il leader del «partito dell'amore» si propone di «eliminare» gli avversari e nessuno trova nulla da ridire. Né gli chiama un'ambulanza. Ora quell'incredibile franchigia ad personam comincia a estendersi da Bellachioma alla sua corte. L'altro giorno il noto galantuomo Paolo Cirino Pomicino( condanna per finanziamento illecito, patteggiamento per corruzione) ha scritto sul Giornale un articolo contro Rita Borsellino. Nessuno pretende che l'andreottiano Pomicino la apprezzi: anzi, è comprensibile la sua diffidenza verso una donna che, a parte il cognome, non ha mai rubato né frequentato mafiosi. Se poi la signora si mette pure a parlare di legalità, è ovvio che Pomicino si senta minacciato. È stato lui a dichiarare che, appena intascò dai Ferruzzi una stecca di 5.5 miliardi, ne girò una parte a quell'altro gentiluomo di Salvo Lima. Dall'alto di quel pedigree, Pomicino accusa Rita di «usare i morti per accreditare una propria capacità politica,fuori da ogni canone democratico e forse anche morale». «Morale»:in bocca a un noto pregiudicato eletto al Parlamento europeo nel centrosinistra e poi tornato a destra, assume un significato tutto particolare. Un'austera lezione di etica alla Borsellino, che «usa il cadavere di un servitore dello Stato i cui orientamenti politici erano opposti a quelli praticati oggi dalla sorella del morto. Una brutta, bruttissima pagina si sta scrivendo in Sicilia». E via delirando di «tsunami autoritario», di «uso strumentale di un procedimento giudiziario per distruggere l'avversario (Cuffaro,ndr) prima che il popolo dica la sua parola».
Si potrebbe obiettare all'europregiudicato che Rita Borsellino non ha mai fatto cenno al fratello Paolo in campagna elettorale, e ha dimostrato di sapere cos'è la politica nel senso più nobile in dieci anni di battaglie di Libera. Si potrebbe informarlo del fatto che Cuffaro è stato indagato per mafia due anni e mezzo prima che Rita pensasse di candidarsi. Si potrebbe domandargli che direbbe oggi Borsellino -uomo della destra legalitaria come Ambrosoli- della destra dei Berlusconi, Dell'Utri, Previti, Cuffaro e, per non farci mancare nulla, Pomicino. Ma sarebbe inutile, perché gli argomenti pomiciniani sono irrazionali: nascono dalle viscere, dal sacro terrore della vecchia politica che ha spolpato l'Italia e ingrassato le mafie dinanzi alla prospettiva che anche in Sicilia, come in Puglia, l'antimafia vada per la prima volta al governo. Per Pomicino chi ha candidato Rita è reo di «complicità mafiosa» e «le notti di Rita Borsellino non potranno non essere insonni per la mole di rimorsi che si affastelleranno nella sua mente». Nel mondo alla rovescia che Cirino s'è creato intorno per non farsi troppo ribrezzo, è il galantuomo che deve provare rimorso per aver combattuto la mafia e non aver rubato, non viceversa. È l'«immoral suasion», dove chi ha commesso delitti tenta di rieducare chi non ne ha commessi. «Come i lettori sanno - conclude il maestro di etica - noi abbiamo un'idea della politica di tutt'altro segno». La conosciamo, purtroppo: è in banconote di piccolo taglio, possibilmente non segnate.
l'Unità del 29 novembre 2005
Articolo di Marco Travaglio
Si potrebbe obiettare all'europregiudicato che Rita Borsellino non ha mai fatto cenno al fratello Paolo in campagna elettorale, e ha dimostrato di sapere cos'è la politica nel senso più nobile in dieci anni di battaglie di Libera. Si potrebbe informarlo del fatto che Cuffaro è stato indagato per mafia due anni e mezzo prima che Rita pensasse di candidarsi. Si potrebbe domandargli che direbbe oggi Borsellino -uomo della destra legalitaria come Ambrosoli- della destra dei Berlusconi, Dell'Utri, Previti, Cuffaro e, per non farci mancare nulla, Pomicino. Ma sarebbe inutile, perché gli argomenti pomiciniani sono irrazionali: nascono dalle viscere, dal sacro terrore della vecchia politica che ha spolpato l'Italia e ingrassato le mafie dinanzi alla prospettiva che anche in Sicilia, come in Puglia, l'antimafia vada per la prima volta al governo. Per Pomicino chi ha candidato Rita è reo di «complicità mafiosa» e «le notti di Rita Borsellino non potranno non essere insonni per la mole di rimorsi che si affastelleranno nella sua mente». Nel mondo alla rovescia che Cirino s'è creato intorno per non farsi troppo ribrezzo, è il galantuomo che deve provare rimorso per aver combattuto la mafia e non aver rubato, non viceversa. È l'«immoral suasion», dove chi ha commesso delitti tenta di rieducare chi non ne ha commessi. «Come i lettori sanno - conclude il maestro di etica - noi abbiamo un'idea della politica di tutt'altro segno». La conosciamo, purtroppo: è in banconote di piccolo taglio, possibilmente non segnate.
l'Unità del 29 novembre 2005
Articolo di Marco Travaglio
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