Domanda 1:
La SLA è una malattia rara?
Risposta 1:Cominciamo col dire che la SLA non è affatto una malattia rara, come fu erroneamente definita dal Sistema Sanitario Nazionale, quando si decise finalmente di assegnare un codice malattia a tale patologia.
In Italia, come nel resto degli altri paesi industrializzati, l'incidenza di questa patologia risulta di 1,7 casi per 100.000 abitanti/anno.
Significa avere circa 800 nuovi malati ogni anno nel nostro paese (cioè 800 nuove famiglie SLA abbandonate nella loro solitudine quotidiana dalle Istituzioni ogni anno). Si prevede che essa aumenterà del 160% circa entro il 2040 nei paesi industrializzati.
Inoltre, vorrei fare notare che la SLA “sporadica” (la più diffusa, che non è dovuta ad alterazioni congenite) colpisce uomini e donne tra i 60 e i 75 anni in media; questo implica che il coniuge del malato (nella “fortunata” ipotesi che questi non sia un malato single o vedovo) è altrettanto anziano, e quindi è una persona generalmente impossibilitata al titanico compito di assistere il paziente SLA da tutti i punti di vista, fisico, psicologico spesso anche economico. I figli (se ci sono) sono spesso lontani per lavoro, e l’alternativa alla morte del genitore sano per angoscia e fatica sarebbe quella di abbandonare il proprio lavoro per accudire il genitore malato.
Domanda 2:
Le difficoltà economiche, fisiche e psicologiche nella famiglie SLA sono notevoli?
Risposta 2:1) Il paziente SLA ha bisogno di tutto, dalla mattina alla sera; chi si occupa di lui (coniuge o figlio) è destinato da subito a vita di clausura, di usura fisica e psicologica.
2) La SLA è una malattia degenerativa, fatale entro 2-5 anni, che prevede degli step ben precisi.
Inizialmente nel malato regnano angoscia e depressione dovuto al fatto che si vede avvizzire sempre di più giorno dopo giorno perdendo ogni minima indipendenza personale anche nei movimenti più semplici.
Successivamente vi è l’estenuante iter che ammalato e famiglia devono intraprendere per assicurarsi invalidità, codice malattia, agevolazione bollo auto, e la famosa pensione di accompagnamento; una vergognosa presa in giro, una ridicola somma di 450 euro mensili non sufficiente per una famiglia con un reddito medio e bisognosa di assistenza.
Sarebbe meglio che lo Stato risparmiasse questi soldi per far nascere una struttura di aiuto domiciliare concreto sul territorio per le famiglie SLA.Nelle fasi successive si verifica il vero orrore: in uno stillicidio continuo il paziente SLA diventa sempre più un corpo emaciato, un peso morto che non può più grattarsi se ha prurito, non può più difendersi neanche dall’insetto che lo tormenta, non può togliersi un capello dal viso o una ciglia che lo sta facendo impazzire, non può aggiustarsi la piega del pigiama dietro la schiena, non può cambiare la sua posizione neanche di un millimetro se si è stancato (noi accavalliamo le gambe senza neanche accorgercene), non può fare più nulla. Dalle minzioni al bere e mangiare, dal prurito al cambio di posizione egli diventa dipendente al 100% da un’altra persona che lo faccia per lui.
Infine arriva la tremenda tracheostomia che gli porta via anche il filo di voce che gli era rimasto, arrivano la dipendenza dal ventilatore, l’aspirazione dei muchi dalla cannula fino a decine di volte al giorno. Per inciso, quando mio padre è stato ricoverato per la tracheostomia, lasciai il mio lavoro (precario) per due mesi di fila, mesi che ho trascorso giorno e notte nella stanza di mio padre, accudendolo in tutto. A fianco al suo letto si consumava la stessa scena: una giovane moglie albanese accudiva da sola il marito SLA già da altri 2 mesi, mentre i due figli piccoli erano rimasti in patria.
Tutto questo perché lo Stato Italiano ignora o vuole ignorare cosa significhi avere un malato SLA, e non ha mai provveduto ad una organizzazione o a strutture sul territorio pronte a intervenire e soccorrere nel quotidiano le famiglie SLA (la malattia è nota da 100 anni).
Grazie alla tracheostomia e ai problemi di deglutizione, questi pazienti mangiano e bevono sempre più lentamente: in media ci vogliono 2 ore per un pasto, un quarto d’ora per un bicchiere d’acqua.
3) Fin quando il malato SLA tracheostomizzato è abbastanza indipendente dal ventilatore, fosse anche per 1 ora o mezz’ora, è dovere morale e psicologico nei suoi confronti il portarlo in bagno per i bisogni e le abluzioni (a meno che non si pensi che sia giusto lasciare marcire un corpo nel letto 24 ore su 24, un giorno dopo l’altro, senza che questa persona possa vedere altro che la parete di fronte).
Può fisicamente il coniuge sessantenne o settantenne alzare dal letto e mettere su una sedia, e poi dalla sedia al water, un adulto di 50-70 chili che si comporta da peso morto? E se il figlio, come nel mio caso, è una figlia e non ha la forza e la stazza per farlo?
Deve dire al parente di marcire a letto?
Domanda 3:
Se ci sono queste difficoltà fisiche, concrete, quotidiane, questa clausura forzata di chi accudisce, questa solitudine della Famiglia SLA, questa dedizione completa di circa 15 ore al giorno (dalle 8 del mattino alle 22-23; la notte in genere dormono tranquilli a meno che non siano raffreddati, in tal caso ci si sveglia di notte più di una volta per aspirarli), se c’è tutto questo, perché non cercate una badante?
Risposta 3:
E’ ovvio che la si cerca, non siamo certo autolesionisti? Come non averci pensato dato che lo Stato (Ministero della Salute, Ministero delle Politiche Sociali, Ministero per le Pari Opportunità) è negligente e non offre nessun aiuto concreto, quotidiano, fisico, domiciliare (a parte l’assistenza domiciliare integrata, di cui parleremo a tempo debito) e tempestivo (la malattia è estenuante ma dura pochi anni, e nel caso di mio padre ne sono già passati quattro).
Voglio premettere che la mia famiglia è composta da padre, madre e due figlie femmine, entrambe impiegate. Abitiamo a Caserta, ma io vivo e lavoro a Milano da 7 anni, mentre mia sorella fa la spola tra un comune del napoletano e Caserta. Non siamo originari di Caserta, per cui non abbiamo parenti in città o nelle vicinanze. Da quando mio padre si è ammalato nel 2004 (a proposito, solo nella città di Caserta ci sono circa 20 Famiglie SLA, fonte ADI di Caserta) mia madre si è barcamenata senza fermarsi mai per cercare una “badante”, dal passaparola, alle ACLI, fino ad andare di persona in luoghi della città in cui si ritrovano gruppi di donne extracomunitarie soprattutto dell’est (di italiane/italiani che vogliano fare questo mestiere neanche a parlarne!) in cerca di lavoretti, soprattutto pulizie casalinghe.
Tralasciando la disillusione, la delusione, il fallimento quotidiano nel cercare una persona che voglia fare questo arduo lavoro e tutto quello che ne consegue (frustrazione, depressione), cercare un badante o una badante per un paziente SLA è cosa ardua assai; cercarlo tra estranei ed extracomunitari, con i loro problemi e i figli lontani, è risultato inutile, utopico, fallimentare. A noi è capitato più di una volta che la badante improvvisata si sia spaventata vedendo l’aspirazione dei muchi dalla cannula e abbia rinunciato, spesso semplicemente non presentandosi più il giorno dopo senza alcun preavviso.
Una badante deve essere una persona onesta affidabile, a cui si può lasciare la casa in mano per andare a fare la spesa o altre commissioni. Inoltre, deve essere preparata e non improvvisata; deve saper alzare il malato dal letto alla sedia e dalla sedia al gabinetto senza procurargli lussazioni (il paziente SLA non ha più muscolatura) lividi o rovinose cadute che sarebbero fatali (e smettiamola con la ipocrita politica pseudo-infermieristica di comodo secondo cui questi pazienti devono finire i loro giorni, i loro anni in un letto, dalla defecazione alle abluzioni quotidiane; vergogna a chi proclama ciò al solo scopo di risparmiarsi la fatica di sollevare queste persone!)
Una badante deve essere sveglia e attenta a tutte le richieste e i bisogni del malato, compreso se si è stancato di stare senza il ventilatore e deve quindi essere riattaccato; deve sapergli dare da bere e da mangiare senza farlo affogare, quindi con tanta pazienza; deve saperlo muovere e fargli cambiare posizione.
Come si può pretendere tutta questa professionalità e attenzione da una persona non preparata, improvvisata, e che magari ti lascia per il primo lavoro più facile che le capita a tiro?
Domanda 4:
Però potete rivolgervi al servizo di Assistenza Domiciliare del Comune, oppure all’ADI, o ancora alle Associazioni di volontariato!
Risposta 4:L’ADI (
Assistenza Domiciliare Integrata) della ASL di Caserta ci sta dando un supporto insostituibile infatti ci fornisce ventilatori, aspiratori di muchi, nutritivi, cannule, soluzioni fisiologiche oltre le visite frequenti e periodiche di otorini e medici di terapia intensiva e la fisioterapia (1 ora al giorno, 6 giorni su sette: ottimo). C’è un buon rapporto tra le famiglie SLA di Caserta e l’ADI, un rapporto di comprensione, stima, collaborazione. Ma questo non basta! Purtroppo l’ADI non riesce ad aiutarci nel terribile problema del sostegno fisico e quotidiano al paziente SLA; non può procurarci personale di questo tipo.
Il Comune di Caserta prevede l’iscrizione a una lunga lista d’attesa che permetterà di avere un volontario (spesso una donna di una certa età) per una o due volte alla settimana e per circa una o due ore al giorno ma ciò non serve a niente nel caso di una famiglia SLA. Non ci siamo mai neanche messi in nota.
In questi anni ho contattato tutte le associazioni, da quelle per i pazienti oncologici terminali, a quelle per la sclerosi multipla o la distrofia muscolare, fino all’AISLA. Il trend è il seguente:
- tutte le associazioni non dedicate alla SLA non forniscono alcun aiuto (e a Caserta alcune di queste associazioni hanno sedi e numeri di telefono fantasma);
- l’AISLA non ha le strutture e i mezzi per esercitare un servizio di assistenza domiciliare ai pazienti SLA;
- altre piccole associazioni per la SLA si trovano esclusivamente al nord o al centro, comunque non a Caserta (a proposito, parlando con i responsabili di tali associazioni sono venuta a sapere che lo Stato ha tagliato loro i fondi)
- cooperative private: innanzitutto quelle infermieristiche spesso non hanno personale preparato per un paziente SLA tracheostomizzato, e poi il costo mensile di un infermiere è talmente alto che una famiglia media non se lo può permettere. Inoltre, le pochissime cooperative private di assistenza domiciliare in tutto il territorio di Caserta e provincia forniscono ancora una volta personale non preparato e improvvisato (deve pensarci mia madre a istruire le persone che vengono mandate dalla cooperativa). A fronte di tale cattivo servizio il pagamento mensile è di tutto rispetto
Nonostante il mio sconforto e la mia delusione, voglio essere propositiva e sottoporre alla vostra attenzione alcuni aspetti.
Nel territorio della
Regione Campania ho riscontrato che vi sono:
1) le strutture ADI che si appoggiano agli ospedali del territorio per usufruire del personale medico che periodicamente visita il paziente SLA in affido all’ADI stessa;
2) centinaia o migliaia di disoccupati stranieri e italiani;
3) i componenti dell’Associazione Italiana SLA (AISLA) che possono fungere da ulteriori forze coordinatrici verso le famiglie SLA su tutto il territorio regionale.
È tanto difficile o impossibile coordinare queste realtà per ottenere un sistema organizzato che aiuti concretamente le famiglie SLA con un’assistenza domiciliare continua, giornaliera, seria e preparata?Può lo Stato Italiano basarsi esclusivamente sul volontariato che comunque è risultato assolutamente inadeguato per il problema SLA?
Perché la Regione Campania non sovvenziona strutture come l’ADI e l’AISLA in modo tale che, per esempio, le stesse strutture ADI e i corrispondenti ospedali associati selezionino e preparino, per un paio di mesi, persone disoccupate, con la giusta idoneità fisica, a un compito gravoso, presso gli ospedali dove decine di pazienti SLA sono ricoverati per la tracheostomia?
L’ADI e l’AISLA potrebbero poi canalizzare queste persone preparate e professionali verso le famiglie SLA che l’ADI ha in affidamento sul suo territorio.
Attualmente la situazione di fatto è che le famiglie SLA restano abbandonate al loro destino, conducendo una vita di solitudine e angoscia ininterrotta senza ricevere un aiuto concreto, quotidiano e professionale da alcuno.
Per tale motivo vorrei chiedere aiuto allo Stato Italiano indirizzando la mia missiva al Ministero della Salute, al Ministero delle Politiche Sociali, al Ministero per le Pari Opportunità e alla Regione Campania.
Tutti noi, che abbiamo un malato di SLA in famiglia, vorremmo un aiuto concreto e reale dal nostro Stato Italiano.
Auspichiamo la creazione di strutture pubbliche capaci di attuare un servizio di assistenza domiciliare ai pazienti SLA.”
La lettera è molto toccante; è palesemente una richiesta di aiuto di una persona ormai provata, stanca, disillusa ma che non ha perso, ancora del tutto, la fiducia verso le Istituzioni e la possibilità che si possa fare qualcosa di concreto in un futuro immediato per i malati di SLA.
Il sito dell’associazione “Aisla Onlus” è :
http://www.aisla.it/ – mail:
segreteria@aisla.it .
I fondatori:
Luigi Esposito e
Mario de Riso di Carpinone